«Mi hanno sospeso l’assegno e la mia famiglia non mi può aiutare»

Per gli studenti in piazza, che giurano di battersi per il loro futuro ma rischiano di difendere il passato. Per il sindacato unico dei giornalisti, sempre pronto a mobilitarsi contro le minacce alla libertà di stampa vere o presunte. Per Emergency, che nonostante tutte le sue pecche fa del bene in giro per il mondo. Per la corazzata Potëmkin di Repubblica, che si erge a faro del giornalismo della schiena dritta. Ci sembra giusto ricordare la storia di Emal Naqshbandi. Un giovane afghano, studente nel nostro paese, fratello più piccolo di Adjmal, l’aiutante dell'’nviato Daniele Mastrogiacomo rapito nel 2007 da una banda di tagliagole talebani. Non solo un interprete, ma un giornalista, che per noi occidentali, in una terra difficile e pericolosa come l'Afghanistan, si trasforma in occhi e orecchie. In gergo si chiamano fixer o stringer, ma una volta pagati per il loro fondamentale lavoro ce ne dimentichiamo.
Daniele tornò a casa, in cambio di cinque capibastone di mullah Omar. Adjmal l’hanno decapitato perché in quanto afghano valeva poco e sapeva troppo. Guarda caso nessuna fuga di notizia, targata Julian Assange, ci ha ancora rivelato l’ira dell’ambasciata americana a Kabul, che aveva il dente avvelenato con il governo Prodi. I diplomatici Usa, scrivendo a Washington, accusavano l’esecutivo di centrosinistra di essersi piegato alle richieste talebane a Emergency e Repubblica. Alla fine il governo afghano rilasciò cinque prigionieri amici dei tagliagole, in cambio di Mastrogiacomo.
La storia è quella di Emal, venuto in Italia con la promessa di una borsa di studio per 5 anni all’università di Perugia. Una specie di compensazione per il fratello morto in un gioco più grande di lui. In Occidente può sembrare quasi barbaro, ma a certe latitudini il prezzo del sangue è una specie di debito d’onore.
Il giovane afghano nelle promesse italiane ci ha creduto, ma grazie alle pastoie della burocrazia rischiava di venir dimenticato. Pochi giorni fa ha inviato un accorato messaggio di posta elettronica scritto in uno stentato, quanto tenero italiano a Toni Capuozzo. L’unico giornalista che si è occupato di lui e per questo il fratello di Adjmal gli ha chiesto aiuto. La storia di Adjmal e del fratellino minore che voleva studiare in Italia, infatti. è stata velocemente dimenticata da tutti. E all’ambasciata a Kabul non trovavano più la sua pratica. «Frizioni burocratiche», spiegano da Roma, gli hanno già levato un mese di borsa di studio che per l’anno prossimo sembrava del tutto cancellata. Poi, ieri, la Farnesina ha confermato a Il Giornale che la promessa di continuare a studiare in Italia verrà onorata. Il giovane afghano sogna solo di continuare a costruirsi un futuro nel nostro Paese, che in fondo qualcosa gli deve per come abbiamo dimenticato suo fratello nelle grinfie dei talebani in nome di una fredda ragion di stato.
Non vedremo in piazza a Roma le foto di Emal e di Adjmal decapitato durante le manifestazioni studentesche, non ci risulta che il sindacato dei giornalisti abbia mai indetto la mobilitazione per il caso del giovane studente afghano e tantomeno che Repubblica o Emergency siano intervenuti per garantirgli un futuro migliore. Se lo facessero o l'avessero già fatto senza pubblicità tanto di cappello.
Nessun ostacolo burocratico deve far dimenticare che le promesse di un Paese serio, anche se decise da altri, vanno comunque mantenute.

E a tutti va ricordato che il regalo sotto l’albero per Emal, di una borsa di studio doverosamente confermata, è solo un piccolo segnale per il fratello di una vittima dimenticata dei tagliagole. Gli stessi che i nostri soldati combattono ogni giorno in Afghanistan.

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