"Mi hanno trattato come un boss mafioso"

Lo sfogo del presidente del Consiglio: retate, blitz e perquisizioni, neanche fossi Al Capone. Cento ragazze interrogate E ai suoi dice: l’inchiesta serve solo a distruggermi sui media internazionali. E torna l’ipotesi di elezioni anticipate

"Mi hanno trattato come un boss mafioso"

Roma Non sono neanche le nove di mattina quando la Squadra mobile di Milano bussa al portone di Palazzo Grazioli per recapitare l’invito a comparire all’indagato Berlusconi Silvio. Il Cavaliere, che ha appena terminato il collegamento telefonico con la trasmissione Mattino5, sulle prime resta un po’ interdetto ma non sembra dare troppo peso a quello che considera «l’ennesimo tentativo di farmi fuori per via giudiziaria». Passano i minuti, però, e l’umore cambia decisamente. Perché iniziano a delinearsi le proporzioni di un’indagine che seppure il premier bolla come «totalmente infondata» e frutto di «un’azione mirata a destabilizzare non solo il governo ma l’intero Paese» è comunque destinata a rimbalzare sui media di tutto il mondo. Ancora una volta - ripete Berlusconi nei suoi incontri privati e nelle riunioni che si susseguono nel pomeriggio con gli avvocati Ghedini e Longo, con il ministro Alfano e i sottosegretari Letta e Bonaiuti - «riusciranno nel loro intento di sputtanarmi».
Ma quello che davvero non va giù al Cavaliere è il fatto d’essere trattato «come fossi un boss mafioso». Già, perché pochi minuti dopo che la Squadra Mobile s’è presentata a via del Plebiscito, è partita una girandola di perquisizioni per mezza Italia. A Genova, dove abita Ruby, a Milano, a casa del consigliere regionale Minetti, ma anche in altre città nelle abitazioni di persone «informate dei fatti». Una vera e propria «retata», si sfoga il premier, «neanche fossi Al Capone». Con cento ragazze interrogate negli ultimissimi giorni e ben 800 pagine di intercettazioni. Il tutto, è la convinzione di Berlusconi, solo per «rendere più spettacolare un’indagine che è fondata sul nulla e darmi in pasto ai media di tutto il mondo». E tanto il capo del governo non ha dubbi sul fatto che si sia messa in moto una «macchina a orologeria che ha il solo obiettivo di distruggermi politicamente e fisicamente» da temere addirittura che la polizia possa presentarsi anche ad Arcore per eventuali perquisizioni. La tenuta del Cavaliere, infatti, è ampia al punto che i magistrati potrebbero argomentare che alcune pertinenze non fanno parte della residenza del premier (che in quanto parlamentare può essere oggetto di perquisizione solo dopo un via libera del Parlamento) e così, giusto per non saper né leggere né scrivere, anche lì è stata messa in tutta fretta la targhetta «On. Silvio Berlusconi».
Ed è soprattutto questo a mandare il premier su tutte le furie. Le retate, i sequestri, le convocazioni in questura: quasi si stesse parlando - ripete ai suoi - di arrestare il più incallito dei mafiosi. Considerazioni che con il passare delle ore Berlusconi fa in maniera sempre più colorita. Già, perché lentamente inizia ad affacciarsi la consapevolezza che in meno di mezza giornata i magistrati abbiano già ottenuto quello che il capo del governo definisce «il loro primo obiettivo». E cioè «lo sputtanamento». Circostanza che emerge piuttosto chiaramente dalla lettura delle intercettazioni allegate all’invito a comparire recapitato a Palazzo Grazioli. Conversazioni tra ragazze - racconta chi ieri è stato a via del Plebiscito - a sfondo sessuale e aventi per oggetto ovviamente Berlusconi». Ecco perché il Cavaliere decide che non è possibile tergiversare ancora e assistito dai suoi legali e da Bonaiuti mette nero su bianco un lunghissimo audiomessaggio che a sera viene pubblicato sul sito dei Promotori della libertà della Brambilla. Un attacco frontale «ai pm che vogliono sovvertire le regole» e l’annuncio che si difenderà in ogni modo da «accuse totalmente false». Con l’assicurazione che continuerà a governare andando avanti nel tentativo di allargare la maggioranza.
E che il premier non voglia le urne è assolutamente vero come è vero che seguiterà a lavorare sul gruppo di responsabilità che alla Camera dovrebbe ridisegnare gli equilibri della maggioranza all’interno delle commissioni parlamentari.

Il problema, però, è che al di là dei desiderata l’inchiesta Ruby segna nei fatti una battuta d’arresto. E rende ancora più difficile la mediazione in corso con Casini. Insomma, è evidente che il rischio elezioni anticipate non fa che crescere.

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