Pier Augusto Stagi
da Como
Voleva il mondo, si deve accontentare del Lombardia. «Ma alla fine sono contento lo stesso - dice Paolo Bettini -. Del mondiale è meglio che non parli più, perché altrimenti mi girano ancora. Sono solo contento di aver vinto una delle gare monumento del ciclismo, una delle più dure, delle più belle e selettive. Ho sempre fatto fatica su queste strade, quest'anno, anche per via di un inizio di stagione difficile e tribolato a causa di problemi fisici, sono arrivato a fine stagione con molta più energia nelle gambe. Quando gli aspetti negativi hanno risvolti positivi... ».
Bettini guarda avanti, dall'alto delle sue otto classiche, oltre a un oro olimpico, tre coppe del mondo, un titolo nazionale, tappe al Giro, al Tour e alla Vuelta. «Penso di aver sempre vinto cose importanti - dice -. Anche quest'anno, alla fine posso dire di aver avuto una stagione alla Bettini: poche vittorie, ma tutte di peso, ottenute bene. È cinque anni che sono sulla breccia, ai vertici del ciclismo mondiale e questa non è cosa da poco». Non chiedetegli di stilare però una classifica, tra le vittorie ottenute, perché lui vi risponderà che tutte hanno un valore speciale. «Forse l'Olimpiade resta là, in cima a tutto perché un titolo olimpico ha un fascino particolare. E poi la prima Liegi, perché mi ha dato consapevolezza dei miei mezzi, mi ha cambiato».
Ha iniziato nove anni fa, come gregario di Michele Bartoli, e oggi, dopo il Lombardia, scorrendo il suo palmarès, si può chiaramente dire che l'allievo ha superato il maestro: e non ha ancora finito... «È vero, Michele è stato il mio maestro, ma credo di essere stato bravo anch'io, che gli ho rubato un po' di mestiere. Prossimi obiettivi? Vincere. Johan Museeuw, che è stato uno dei più grandi cacciatori di classiche della storia del ciclismo mi disse: "Tu mi supererai". Lui è a quota 11 classiche, più un mondiale.
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