Caro Direttore,
è già accaduto tante altre volte che io ti abbia chiesto ospitalità come presidente della commissione Mitrokhin per rompere il muro del silenzio che ha impedito agli italiani di sapere e di apprezzare ciò che questo organo del Parlamento ha fatto durante quattro anni di onesto e proficuo lavoro. Pochi per esempio sanno che la commissione Mitrokhin ha presentato ben due relazioni, una delle quali con più di un anno di anticipo in risposta alle domande poste dalla legge numero 90, e una seconda relazione che non ha potuto essere approvata per mancanza del numero legale dovuta ad alcune defezioni di natura politica, tra cui quella di un rappresentante della Casa delle libertà oggi sottosegretario del governo Prodi.
La ragione per cui ti chiedo oggi ospitalità è la seguente: a partire dalla morte di Aleksander Litvinenko il 23 novembre dello scorso anno a Londra, la commissione Mitrokhin, che aveva chiuso onestamente e in silenzio i propri lavori nel mese di marzo, poco prima delle elezioni, si è trovata di colpo in mezzo a una bufera per così dire postuma perché una serie di intercettazioni di dubbia legalità, una serie di interviste false o falsificate trattenute nel cassetto per quasi due anni e il materiale per un'autentica campagna di odio e di discredito sono stati scaraventati sull’organo parlamentare che io ho presieduto dissacrandolo e massacrandolo, tanto da generare un profondo disorientamento anche in persone che in realtà avrebbero dovuto essere ben consapevoli di come stessero le cose.
Io ho avuto un’idea che spero tu, Direttore, possa condividere, e di cui possa farti promotore attraverso le colonne del Giornale. Io credo sia possibile creare una commissione di storici, di esperti, di giuristi, di intellettuali, perfettamente bipartisan, e cioè con personalità che garantiscano ogni parte politica, per esaminare tutto il lavoro che questo ramo del Parlamento ha svolto, giudicarlo dopo averlo ben valutato. Io stesso di fronte a una tale commissione vorrei per me ricavare il ruolo di indiziato numero uno, colui che è chiamato a spiegare, a rendere conto, a giustificare ed illustrare.
L’esperienza mi insegna che quando si è lavorato onestamente alla ricerca della verità non si può più aver paura di alcun trucco e di alcuna trappola. L’esperienza mi ha infatti reso forte e al tempo stesso consapevole dei miei limiti, ma più che altro desideroso di restituire al Paese ciò che è suo e che gli è stato sottratto: la verità. Mi sono sempre più convinto che sia del tutto futile parlare di libertà come se essa esistesse per vita propria, avendo dovuto imparare anche a mie spese che non esiste alcuna libertà se manca la verità. È un altro modo per dire che chi controlla il passato controlla il futuro e io intendo dedicare quel che resta della mia vita alla liberazione totale delle verità nascoste al mio Paese, ai miei concittadini, agli italiani tutti che vivono la vita politica e civile come figli di un dio minore rispetto ai cittadini e ai figli delle altre grandi nazioni europee e americane.
Paolo Guzzanti
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