"La mia Fallaci al cinema: dura, anarchica, generosa"

L’attrice Maria Rosaria Omaggio ha ultimato le riprese di Walesa in cui interpreta la scrittrice durante la storica intervista al capo di Solidarnosc

"La mia Fallaci al cinema: dura, anarchica, generosa"

Roma Appassionata, furente, irritante, esaltante, scandalosa. Non si contano le attrici che avrebbero voluto interpretare un personaggio simile. Ma la prima che è riuscita a diventare Oriana Fallaci, nel film che, dal giorno della sua scomparsa nel 2006, abbia trasformato in personaggio quest’icona del giornalismo mondiale, è stata lei. Maria Rosaria Omaggio. E si capisce l’entusiasmo con cui lei, scelta dal grande Andrzej Wajda (il regista de L'uomo di marmo e Premio Oscar nel 2000) è appena rientrata da Varsavia, dopo aver ultimato le riprese di Walesa, il film che Wajda dedica al fondatore di Solidarnosc, presidente della Polonia e Nobel per la Pace 1983. E il cui destino s’incrociò con quello della Fallaci nel 1981, per una storica intervista, divenuta profetica sul ruolo che il sindacalismo cattolico avrebbe giocato nella lotta contro l’oppressione comunista.

«Wajda voleva un’attrice italiana, come Oriana - racconta la Omaggio (che la stessa Fallaci scelse per registrare l’audiolibro de La rabbia e l’orgoglio) -; e un’attrice teatrale. In grado quindi d’interpretare in piano-sequenza, cioè senza interruzioni, i quattordici minuti di quella famosa intervista, dal film testualmente riproposta».

Che clima si respira in quegli storici, quattordici minuti?
Fu una sorta di incontro-scontro. Un appassionato match d’intelligenze volitive, che è il cuore del film. La Fallaci capì che loro due, entrambi autoritari e tendenzialmente prevaricatori, dovevano stabilire una pace armata. Appena accadde si stimarono immediatamente. Al punto che la stessa Oriana aprì gli occhi a Lech, il quale ancora non si rendeva ben conto del peso rivoluzionario di Solidarnosc: “Lei sta diventando il leader della liberazione della Polonia - gli profetizzò - e prima o poi i sovietici reagiranno, come è successo in Ungheria, Cecoslovacchia, Afghanistan”. Il che puntualmente avvenne, con la legge marziale imposta dal generale Jaruzelski. “Ma non ha paura che la facciano fuori?”, gli spara brutalmente lei. E lui, di rimando: “Se accadrà le terrò un posto in Paradiso”».

Per questo film Wajda ha voluto il meglio, affidando il ruolo di Walesa al grande attore polacco Robert Wieckiewicz e la fotografia a Pawel Edelman, premio oscar per Il pianista.
«Sì. E disegnando tutto in anticipo. Come Fellini, come Antonioni, infatti, anche Andrzej è un eccellente pittore. Con la sua stilografica ha tratteggiato personaggi, ambienti, atmosfere. Compreso il caseggiato di Danzica in cui Walesa, ancora oscuro ex elettricista disoccupato, abitava con sei figli (oggi sono otto). E il ritratto dell’allora Cardinal Wojtyla appeso alla parete».

A questo ruolo (per il quale a un certo punto s’era parlato anche di Monica Bellucci) lei s’è preparata con un puntiglio ed un perfezionismo riproduttivo quasi maniacali.
«In realtà io studio Oriana da almeno dieci anni. Ho letto sue pagine alla radio innumerevoli volte; a un certo punto ero anche in lizza per la fiction tv che su di lei avrebbe prodotto Domenico Procacci. Considero questo film il giusto coronamento di dieci anni d’amore. Ho studiato nei filmati il suo modo di camminare, di muovere le mani (il caratteristico picchiettìo delle dita sui tasti di un’invisibile macchina da scrivere); suo nipote m’ha prestato l’autentica pelliccia di visone e la vera spilla di cameo che Oriana indossava in quell’intervista; nonché l’originale registratore nero che usò per inciderla, e che già le era accanto quando intervistò Ariel Sharon, Bob Kennedy, il Dalai Lama, Deng Xiaoping. Sono arrivata al punto da cercare su internet le introvabili sigarette Lark rosse (e l’accendino Cricket) che Oriana accendeva e spegneva compulsivamente, una dietro l’altra».

Wajda l’avrà scelta anche per le evidenti somiglianze fisiche. Che idea s’è fatta, allora, della donna Fallaci?
«Non si tratta solo del viso, ugualmente altero, o del simile, autorevole timbro della voce. In comune io e lei abbiamo quell’indurimento del carattere che è provocato dalle sofferenze della vita. Già di suo Oriana era toscana; anzi fiorentina. E quindi aggressiva, diffidente; ma al tempo stesso ironica, capace di slanci generosi. Finché la solitudine, la perdita d’un bambino, la morte del compagno Panagulis, la malattia, ne acuirono le connaturate spigolosità. Scomoda? Antipatica? Irritante? Tutto vero. Però: che donna!».

E le convinzioni politiche? Il film (che nel frattempo è già stato richiesto dal Festival di Berlino) ne dà in qualche modo conto?
«Non particolarmente.

Ma non ce n’era bisogno: sbaglia chi afferma che esiste un’“Oriana prima” e un’“Oriana dopo”. Lei fu sempre la stessa cosa: un’anarchica. Anticonvenzionale e controcorrente, bastian contrario per natura. Una che non le risparmiava mai a nessuno. Destra o sinistra che fosse».

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