Matteo Failla
Il piccolo Portinaio, lopera prima del giovanissimo Marco Amato - fino al prossimo 20 gennaio al Teatro dellArte - porta con sé un innegabile tasso di curiosità. Il motivo non è certo solo la giovane età dellautore (oggi 28enne), ma soprattutto il fatto che due grandi nomi abbiano scelto senza indugi di accompagnare sulla scena il suo primo «esperimento»: interprete principale è infatti unattrice brava come Milena Vukotic, mentre regista dello spettacolo è Walter Manfrè, colui che in passato ha sicuramente contribuito allo sviluppo della nuova drammaturgia italiana.
Il piccolo portinaio, ambientato a Roma nel 1944 durante loccupazione nazista, narra la vicenda di una famiglia ebrea assunta nella portineria di un palazzo borghese, ma costretta a nascondere la propria vera identità. Una vedova benestante del palazzo prenderà a cuore la piccola famiglia, ma soprattutto arriverà a provare un amore eccesivo per il piccolo Matteo, fino al tragico momento della deportazione.
Perché hai scelto il tema delloccupazione e della tragedia dellOlocausto?
«È stato il risultato di un percorso personale di studi, un tentativo di rimettere ordine a un periodo della storia italiana che mi sembrava confuso. A Roma, nel 44, cera sì loccupazione nazista, ma soprattutto un grande caos. Partendo da un ampio discorso di ricerca storica sono arrivato a scrivere di una situazione che è invece intima e familiare. Lo spunto della trama lho avuto chiacchierando con unanziana signora, che mi ha raccontato di una famiglia di ebrei che viveva di nascosto nella sua portineria».
E lincontro con Manfrè e la Vukotic quando è avvenuto?
«La mia è una delle tante storie incredibili e fortunate. Mentre lavoravo a un Festival a Palermo come organizzatore ho affidato il testo a un amico, che lha proposto al suo amico Manfrè. Questultimo ne è rimasto affascinato e ha fatto leggere il copione a un po di attrici: Milena ha accettato subito. Forse Manfrè non poteva scegliere attrice migliore per quel ruolo, in lei il regista ha subito visto il carattere del mio personaggio. Questo è stato uno dei segreti del successo».
Secondo te cosa ha colpito la Vukotic?
«Forse il tema della maternità e dellamore per i figli. Questa storia punta molto lattenzione su questo rapporto dinnamoramento morboso e ossessivo che la protagonista ha per un bambino che non è un proprio figlio, ma che la sua mente vede come figlio mancato. Milena ha portato il proprio contributo alla creazione e al miglioramento del personaggio: è instancabile, precisa, prova e riprova alla ricerca della perfezione, creando una continua evoluzione del personaggio: ogni volta riesce a dare nuova vita e significati al testo».
La giovane drammaturgia tende spesso ad affrontare il tema della guerra e della sofferenza, anche nel tuo caso è stato così.
«È vero, perché in realtà viviamo in un periodo storico di incertezza. Il terrorismo, le guerre sparse per il mondo; anche se non stiamo vivendo una guerra sulla nostra pelle ne siamo comunque circondati: è parte integrante del nostro percorso di crescita.
«Così, quando dobbiamo materializzarla nei nostri testi, ripensiamo a quelle guerre che, seppur indirettamente, abbiamo vissuto nei racconti dei nostri nonni, e a quelle ci aggrappiamo mentalmente per proporne una rappresentazione scenica».
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