La mia scatenata figlia d’arte che domina la neve cantando

Prese la prima attrezzatura «rubandola» in un negozio

Un articolo su mia figlia. Temevo e allo stesso tempo speravo che prima o poi sarebbe successo, non pensavo però così presto. La notizia è questa: Federica Brignone, quindici anni e mezzo, ha vinto ieri a Santa Caterina Valfurva il titolo italiano aspiranti di discesa (quello assoluto è andato a Nadia Fanchini che ha battuto la sorella Elena). Dieci giorni fa a Pozza di Fassa aveva già vinto l’oro in slalom, gigante e combinata, oltre al bronzo in superG. La categoria aspiranti comprende i nati negli anni 1989 e 1990, Fede è del 1990, corre quindi con atlete più vecchie, e anche questa è una notizia. Ma la notizia più notizia, quella che da sempre accompagna ogni sua «impresa», è che Federica è figlia d’arte.
Figlia mia, appunto. Lei non sopporta questa definizione, ma in realtà se ne frega altamente. A chi le chiede cosa ha preso dalla mamma risponde «niente», esaltando invece le doti del papà, Daniele, che campione non è mai stato, ma che in effetti riesce bene nello sci e nell’atletica, nel golf e nella pesca, è quel che si dice un talento polivalente. In famiglia lo siamo tutti. Amiamo lo sport più di ogni altra cosa, ci piace fare gare, anche fra noi. In realtà, e lei lo sa bene, dalla mamma Federica ha preso quella dote che nello sport viene chiamata mentalità vincente. Da quando è nata ha sempre adorato fare gare, di sci ma non solo. A scuola è competitiva e l’anno sorso si è meritata due borse di studio. Basta la parola gara per scatenare in lei motivazioni fortissime, ma sane. Se vince è felice, se perde non fa drammi, ma si impegna perché la cosa non avvenga più. Nello sci ha spesso vinto, ma più sovente perso.
Nelle categorie inferiori era sempre fra le migliori in Valle d’Aosta, corre per lo sci club Courmayeur, ma quando metteva piede nelle gare nazionali si portava a casa barcate di secondi. Normale, perché correva contro ragazzine dieci volte più allenate di lei, che fino all’estate scorsa ha vissuto tutto solo come un gioco. Dal luglio del 2005 ha cominciato a fare sul serio, con la squadra regionale: raduni sulla neve e un po’ di preparazione atletica, ma sempre e soprattutto divertendosi. Credo che questo sia il suo segreto. Anche se è nata e cresciuta in una famiglia che vive di sci (io scrivo, mio marito fa il maestro e l’allenatore), Fede non lo ha mai vissuto come un obbligo. A un anno e mezzo si è conquistata la sua prima attrezzatura «rubandola» in un negozio dove io e suo padre stavamo facendo acquisti: ha infilato le scarpe in due scietti di plastica, ha impugnato i bastoncini abbinati ed è uscita sulla neve.

A due anni faceva già le curve ridendo come una pazza, non ha mai patito il freddo o la bufera, anzi li ha sempre amati. Quando nelle domeniche d’inverno la sveglia suona alle sei, scatta come una molla. Non patisce i viaggi, le scomodità, la fatica. In gara spesso scende cantando, mi ha confessato di averlo fatto anche ieri.

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