"La mia prima sceneggiatura? Sergio Leone me la tirò dietro"

Carlo Verdone trasforma in uno show la sua lezione allo Iulm: "Per insegnarmi il mestiere mi segregò per sei mesi"

"La mia prima sceneggiatura? Sergio Leone me la tirò dietro"

Milano - «Ma che ce faccio qua?», si chiede lui alla romana. «Una lezione di cinema la dà un David Lynch, non io». La battuta non viene dalla falsa modestia, è genuina al cento per cento. Di lui, di Carlo Verdone, il produttore Aurelio De Laurentis ha detto: «È un concentrato di qualità e di umiltà». Ancora meglio, un grande del cinema come Sergio Leone ha coniato, d’istinto, la recensione più bella della sua carriera: «È l’uomo che guarda». Quello che rubava la voce gutturale del vicino di casa in via dei Pettinari, Stefano Natale, o spiava l’umanità varia (soprattutto i cafoni, che lo avrebbero ispirato) del Bar Mariani sotto casa. E allora, forse, è proprio per questo che Carlo Verdone, regista e attore, si siede nell’Aula Magna dell’Università Iulm di Milano, assoluto protagonista di un'intervista-lezione dal titolo «Ridere all’italiana - A lezione da Verdone», destinata ad andare in onda su Sky Cinema 1 venerdì 24 ottobre in prima serata, con la conduzione del critico cinematografico Gianni Canova.

Perché quest’uomo tranquillo, evidentemente riservato, magicamente posseduto da una vis comica mimetizzata chissà dove e sempre pronta a esplodere al minimo gesto o alla minima inflessione della voce, è stato ed è uno straordinario osservatore della realtà che lo circonda. La fregatura sarebbe stata non saperla raccontare, questa realtà, ma una carriera ultratrentennale e ventuno film da regista stanno lì a confermare che un pezzo di storia del costume italiano è passata dalle sue storie, dai suoi personaggi, dalle sue battute. In cattedra come un professore, quindi, e non come uno di quelli pallosissimi e pieni di tic resi celebri in film come Viaggi di Nozze o Grande, grosso e Verdone: no, le due ore e mezzo con Carlo Verdone accalappiano sguardi e menti degli studenti in una cascata di aneddoti, ammissioni, promesse e speranze.

E c’è solo l'imbarazzo della scelta. Dagli anni dell'infanzia, quando con il papà - il professore e critico cinematografico Mario Verdone - «andavo ai cinema America e Reale, a Roma, a vedere i film di Maciste, quelli di Jerry Lewis e soprattutto i western, che lo facevano impazzire. Il problema è che, al momento delle sparatorie, il professore austero e serio si trasformava: scattava in piedi mimando le pistole in pugno e, felice come una pasqua, urlava e sparava anche lui. Io mi vergognavo come un ladro e, lentamente, scalavo di posto, un po’ più lontano». Gli anni del liceo: «Primo giorno di scuola al liceo Virgilio - ricorda Verdone -: la crudele prof di matematica, un colosso del Nord-est dai modi stile Gestapo mi becca a sfogliare la mia prima, bellissima enciclopedia. Mi sibila una minaccia: parti male. E io, sempre tranquillo, a quell’intimidazione perdo la testa: voleva la mia enciclopedia? Gliela tirai dietro. Fui sospeso per quindici giorni e, a fine anno, bocciato. A quel punto mio padre seppe stupirmi: il giorno dopo la bocciatura mi mise davanti i biglietti del concerto dei Beatles all’Adriano. Andammo insieme, il giorno dopo, e io cominciai a capire che, dietro a quell’uomo serio e sempre curvo sui libri, c’era un uomo moderno, vivo e sempre attento alle avanguardie». Fu anche, il professor Verdone, quello che bocciò il figlio all'università nel proprio esame sul cinema espressionista tedesco: «Cercai di corrompere mio padre la sera prima - racconta divertito Verdone -: entrai nel suo studio e dissi: papà, chiedimi Fellini e Bergman. Bene, il giorno dopo lui mi interrogò su G.W. Pabst. Era di manica larga con tutti, ma con me fu irremovibile. E nel mandarmi via mi diede pure del lei!».

Altri padri, artistici questa volta, hanno segnato il percorso professionale e umano dell’attore e comico romano: uomini come Sergio Leone (che produsse i primi suoi due film, Un sacco bello e Bianco, Rosso e Verdone), Alberto Sordi e Roberto Rossellini. Parlare di ognuno di loro significa spalancare un libro di ricordi nel quale è difficile fare ordine ma è commovente abbandonarsi: «Sergio Leone lo conobbi ai tempi del programma tv Non Stop, fu il mio primo vero successo, cominciarono ad arrivarmi proposte di produzione per un film, da personaggi come Celentano e la Wertmüller. Io, però aspettavo, sentivo che doveva succedere qualcosa. E successe: una sera, a casa suonò il telefono ed era Sergio Leone, il mio mito. Partimmo male, mi tirò addosso il primo soggetto che gli proposi, poi mi chiuse in casa sua per sei mesi a imparare cosa fosse il cinema». Da lì, il successo: «Io e Troisi raccontammo una nuova realtà: i nostri maschi italiani erano quelli feriti dal femminismo anni '70, timorosi delle donne, non più i machi traditori alla Buzzanca».

Infine, il futuro: «Un film corale dei miei, nel quale ci sarà Laura Chiatti ma di cui non voglio dire di più». E una speranza: «In tempi difficili, escono i talenti: il cinema italiano, con artisti come Garrone e Sorrentino, sta decisamente bene».

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