«La mia strana coppia un revival sempre attuale»

Da martedì al Manzoni la commedia di Neil Simon: «Abbiamo accentuato solo il tema della solitudine»

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È il Walter Matthau del palcoscenico. Fuma, gioca a poker, vive disordinatamente la sua vita di giornalista divorziato. Della Strana Coppia famosa lui è Oscar, quello che non soffre (tanto) per l'addio della moglie, quello che non cucina e che non mette mai in ordine. Lui è anche Gianluca Guidi, traduttore, adattatore e regista dell'omonima commedia di Neil Simon in scena al teatro Manzoni da martedì al 3 dicembre.

Cosa ci sarà di diverso rispetto all'originale?

«Tutto e niente. Perché cambiare le cose che funzionano? Lo abbiamo messo sulla locandina: è un revival».

Con il rischio di portare in scena un'opera datata 1965?

«Quando sento dire che Simon è datato rispondo magari ce ne fossero ancora di drammaturghi come lui. Aveva un senso dell'umorismo impareggiabile, straordinario. E affatto vecchio».

Quindi il copione è lo stesso. La storia di Oscar che, da quando ha divorziato, vive in un appartamento sottosopra, la sera gioca a poker e, a un certo punto, accoglie Felix a condividere l'abitazione. Felix, che soffre della sua recente separazione ed è maniaco dell'ordine, è Giampiero Ingrassia.

«Un amico da tanti anni. C'è un affiatamento naturale, non abbiamo mai intoppi con le battute».

Cosa trasparirà di Guidi e di Ingrassia?

«Ogni attore ci mette del suo. Posso dire che l'aspetto che emerge di più nella nostra versione è la solitudine di entrambi e che nelle riproduzioni già viste era più schermata. Ma nulla toglie, semmai aggiunge».

Ed è un tema attuale.

«Certamente. Se forzata, la solitudine è un massacro, altrimenti ricchi premi e cotillon. Qui la solitudine è di entrambi. Feliz chiede infatti: "Perché vuoi che venga a vivere con te?" E Oscar risponde: "Perché non sopporto di vivere da solo"».

Anche la separazione è un tema sempre attuale.

«Mi sento come Oscar, sono separato e non ho capito perché. Ma come mi hanno insegnato, nella vita bisogna ragionare sul fatto che può succedere e ciascuno è libero di andare per la propria strada. C'è chi soffre di più, a me la separazione è sembrata una pazzia ma, a un certo punto, ho accettato».

Si coglierà questo suo lato personale?

«Gli aspetti autobiografici si lasciano fuori dalle regie, ma chi recita può tradirsi, magari con l'intonazione...».

È una commedia che «parla» ai giovani?

«Sì, perché permette di conoscere un autore, Neil Simon, che per trent'anni è stato il miglior scrittore di Broadway. Alle nuove generazioni, di attori e non, direi che per costruire il presente bisogna conoscere il passato».

È ancora conosciuto come il figlio di Johnny Dorelli?

«Non sempre, per il fatto che si ignora la storia. Quando succede mi fa molto piacere: mentre interpretavo Aggiungi un posto a tavola venivo raggiunto da qualche spettatore che mi diceva: "Ho visto questa commedia da piccolo con il mio papà interpretata da suo padre, oggi sono qui con mio figlio"».

Cosa

aggiungere?

«Vorrei che si sappia che i due quinti dei lavoratori dello spettacolo hanno perso il lavoro causa pandemia nell'indifferenza generale. E che i governi hanno contribuito a questo torto gravissimo non facendo nulla».

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