da Arce (Frosinone)
«Finalmente quest'incubo è finito». Un incubo lungo, lunghissimo, quello di Carmine Belli. Tre anni di sospetti, diciassette mesi di carcere preventivo, lombra del mostro che lo ha accompagnato sui media, negli occhi della gente. Oggi rientrerà a Roma, domani, come sempre, riaprirà la sua carrozzeria a Rocca d'Arce. «In paese a dire il vero mi sono sempre trovato bene. Fin da quando uscii di prigione, in tanti mi mostrarono solidarietà. Sapevano che non potevo essere l'assassino. Però...».
Però?
«Però con la stampa è stato diverso. Quando fui arrestato c'erano una valanga di giornalisti, alla sentenza di primo grado cinquanta telecamere. Fui assolto. All'appello ce n'erano tre...».
Sfortuna, forse. In concomitanza con la sentenza di appello c'era quella sulle Bestie di Satana. Ora, con la Cassazione, lo sciopero dei giornalisti. In tribunale non c'è nessuno.
«In realtà tutti ti sono addosso se pensano che sei colpevole. Poi, via, il deserto. Per questo quando in tv parlano di Cogne non giudico. Che ne sai, che ne sai di come sono andate le cose se non leggi tutte le carte?».
Il periodo più brutto?
«Il momento dell'arresto e i primi tre mesi di galera, in una cella di tre metri per tre. Ero lì e ignoravo perché. Poi anche la direttrice si accorse che non ero il mostro che dipingevano e mi permise di lavorare all'interno come addetto alle pulizie. Così dimenticai per un po ciò che mi stava succedendo. Anche gli altri, in cella, mi restarono vicini. Altrimenti sarebbe stato impossibile andare avanti: quelli accusati di violenza sessuale non fanno una bella fine».
Cosa ha detto a sua moglie?
«Prima di ogni sentenza c'era una tensione fortissima, dovevo io dar forza a lei e tenerla calma. Prendeva anche dei sedativi. Mia moglie è polacca, non riusciva a capacitarsi di come vanno le cose da noi: dice che al suo paese prima si è certi delle prove e poi, dopo, se uno è un mostro, lo si comunica alla gente. Qui è il contrario. Prima mostro sui giornali, poi si fa marcia indietro».
Contro di lei si è sempre scagliato il padre della vittima, Guglielmo Mollicone.
«Qualche volta lo incrocio per strada, nessuno dei due si è mai fermato. Gli auguro che sia fatta giustizia per sua figlia. Ma spero che ora, finalmente, abbia capito che non l'ho uccisa io».
Ora ha fiducia nella giustizia?
«A metà. Mi resterà sempre dentro quell'anno e mezzo sottratto alla mia vita».
Dopo la sentenza d'appello Carmine Belli annunciò ricorso alla Corte di Strasburgo. Poi la Procura arrivò in Cassazione. Ha vinto anche lì.
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