Michele Wozniak

Questo sacerdote polacco era parroco a Kutno, nella diocesi di Varsavia. Fu arrestato dalla Gestapo nell’ottobre del 1941 e portato nel lager di Dachau. Qui venne sottoposto al trattamento speciale riservato ai preti papisti, meglio se polacchi, dunque «inferiori». E, a furia di privazioni, maltrattamenti, lavoro forzato e anche torture sadicamente inflitte, dopo qualche mese morì. Era il maggio del 1942 e don Michele Wozniak aveva sessantasette anni. In trentadue anni di sacerdozio aveva fondato diverse case religiose. Anche questo martire fa parte del gruppo (cosiddetto «gruppo Nowowiejski») dei centootto polacchi beatificati nel 1999 da Giovanni Paolo II e trucidati in vari modi dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. Dobbiamo osservare che la Chiesa cattolica è praticamente l’unica istituzione internazionale esistente che coltiva una memoria a trecentosessanta gradi. Conta i suoi incessanti morti senza anatemizzare nessuno. Si scusa se ritiene di dover scusarsi. Quasi, chiede il permesso al “mondo” prima di mettersi a beatificare uno dei suoi membri. Diverso lo stile delle ideologie «laiche», che sono use a ricorrere al linciaggio morale di chi non le condivide, non pagano mai dazio, non si scusano mai, demonizzano i cosiddetti «revisionisti» e non di rado li trascinano in tribunale.

Certo, non è più il tempo (almeno da noi) dei lager. Ma, ancora oggi, a dire certe cose si corre il rischio di dover finire sotto scorta. Il tempo «dell’odio e della menzogna», di cui parlava Aleksandr Solženitsin in un suo celebre discorso, sembra non voler finire mai.

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