E così Stefano Nazzi, giornalista, scrittore e autore di una fortunata serie di podcast, debutta a teatro. Meglio: inizia una tournée già sold out per le date milanesi, da domani al 19, agli Arcimboldi (c'è ancora posto in ottobre) e poi lungo la penisola, Trieste, Roma, Padova, Cremona, Torino e Bologna. Dal delitto di Chiara Poggi al duplice omicidio di Novi Ligure, dal caso Tortora alla scomparsa di Emanuela Orlandi, i gialli italiani, risolti e non, sono diventati materia delle sue Indagini, la rassegna di podcast gratuita del Post.
È l'autore di podcast più ascoltato nella classifica di Spotify , all'Italian Podcast Awards del 2023 si è aggiudicato due primi premi come podcast e per la categoria True Crime.
Perché tanto pubblico, c'entra la morbosità?
«Il racconto di una cronaca spalanca più finestre sulle città in cui viviamo. Quel che attira è il voler capire perché le cose avvengono, poi interessano i meccanismi della giustizia, forse c'è una parte di morbosità in taluni di noi, ma credo prevalga l'interesse verso il genere umano».
Parla di crimini efferati senza spaventare...
«Cerco di presentare non tanto il fatto di cronaca, ma quello che è successo. Mi chiedo questo particolare aiuta a capire la storia?, se serve lo racconto, altrimenti no. Non forzo le emozioni perché ognuno provi le sue».
Sul caso Orlandi ha detto «non abbiamo una verità ma possiamo provare a mettere ordine».
«Ci sono storie di cui non sappiamo nulla, altre di cui sappiamo molto, altre di cui si sa troppo ma che sono senza una fine. Poi, con gli anni, si aggiungono depistaggi, affermazioni fatte per convenienza perché si indaghi altrove o per bearsi del famoso quarto d'ora di celebrità».
La sua ricostruzione del caso Tortora si dovrebbe sentire nelle scuole.
«Non fu un errore giudiziario ma un crimine: Tortora era del tutto estraneo a quel mondo eppure ha subito accuse e situazioni indecenti, come è possibile che la giustizia prenda cantonate simili? Ho provato a rispondere ascoltando testimoni, c'è stata una combinazione sfortunata di circostanze. Lui era popolarissimo, la sua trasmissione Portobello era seguita da 22 milioni di spettatori, più del doppio di Sanremo».
Quali sono le responsabilità dei media?
«I media sono sempre determinanti, il modo in cui si racconta la storia la orienta. Talvolta sui delitti si crea una giustizia attesa, un clima da tifo attorno ai processi. Altre volte nella fretta di raccontare si aggiungono dettagli che non c'entrano».
Gli assassini sono malati o malvagi?
«Spesso siamo portati a parlare di raptus ma le persone cattive esistono, sono così centrate su loro stesse che non considerano il resto della comunità. Sono un'esigua minoranza ma fanno parte del mondo e della vita».
Ha raccontato della pluriomicida di Voghera che cercava di vendicare se stessa.
«La violenza genera altra violenza, niente nasce da niente. Quella donna non venne aiutata, forse si sarebbe potuta fermare».
In tournée porterà una sola storia.
«Il massacro del Circeo.
Gli avvocati che difesero gli assassini cercarono di trasformare le vittime in corresponsabili, ed è una cosa che subdolamente e meno esplicitamente accade ancora. Poi una serie di assurdità, le fughe ridicole e facili, uno dei tre assassini sparì nel nulla. Erano protetti da famiglie ricche».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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