nostro inviato a Bruxelles
«Non segnano più». «Sono come il Portogallo». Passi per la citazione statistica pertinente (quattro pareggi di fila tra campionato e coppa Campioni, un solo gol, il precedente si perde nella notte dei tempi) ma il paragone successivo, impertinente, sembra quasi uno sberleffo per quella che fu una macchina da gol e un esempio di calcio ben giocato e organizzato. È il destino, un po triste e malinconico, riservato allultimo Milan, staccato in classifica per via della penalizzazione e alle prese con una partenza macchinosa, complicata dalla perdita di Shevchenko e di molte altre virtù, compresa la generosità conclamata del suo presidente Silvio Berlusconi. «Dopo venti anni di gestione, per la prima volta la società chiude il bilancio del 2006 in attivo» segnala Adriano Galliani chiamato a far di conto con le disponibilità del suo azionista di riferimento. Se il ricavato della vendita record di Shevchenko deve ripianare il disavanzo, non possono arrivare dal mercato né Ronaldo e neanche Oddo, bisogna arrangiarsi con Favalli e scoprire Gourcuff. Non segnano più. Vero, verissimo. E inquietante, bisogna aggiungere. Con una sola spiegazione condivisa da Ancelotti che ne parla a Bruxelles per spiegare larcano. «Manca la velocità nel far girare la palla, la lentezza contro squadre chiuse diventa il problema» riconosce senza tradire una particolare angoscia. Quasi fosse sinceramente convinto che lastinenza è passeggera e che il tempo, insieme con le prossime sfide, può colmare le attuali lacune. «Tutti devono dare di più» spiega con tono consolatorio; ma conosce bene la lista degli inadempienti, a cominciare da Seedorf rimasto senza pungolo in panchina (Gourcuff) per finire a Kakà, scortato come al solito dai genitori. Gli attaccanti sono una razza particolare, con un metabolismo singolare. «Se dovessi far giocare quelli che fanno centro non dovrebbe giocare nessuno» la battuta di Ancelotti testimonia di un clima sereno, persino scanzonato, speriamo non rassegnato.
Da stasera, perciò, il Milan si rimette a caccia, in Europa, del gol e di quel filo smarrito a Livorno e via via nelle altre successive cadenze di una stagione che ha nel mese di ottobre il punto più basso del rendimento. Alla caccia partecipa Ricardo Oliveira, brasiliano triste per le vicende familiari, il rapimento misterioso della sorella («speriamo possa distrarsi con noi» laugurio di Maldini) ma un filo meno traumatizzato di Alberto Gilardino che ha la faccia della retrocessione e guarda tutti come se avesse da farsi perdonare un delitto invece che lastinenza professionale. È un bravo ragazzo e si sente in debito. In debito con il Milan, la sua carriera, il suo futuro, con la Champions (è sempre fermo a 0). Gioca Oliveira, in coppia con Inzaghi, a Bruxelles perché restituito a una decente condizione e perché è il caso di cominciare a misurare la validità del suo arrivo costato un discreto gruzzolo di milioni (17) e un signor contratto (1,2 milioni di euro). Potrà godere nella circostanza del ritorno in cabina di regia di Pirlo e del recupero quale centrale difensivo di Kaladze.
LAnderlecht, come lAek, non è un rivale irresistibile, solo il Lille ha un discreto spessore tecnico. I belgi, guidati da una vecchia conoscenza, Frank Vercauteren, 49 anni, sono reduci da una brillante prova in campionato (4 a 0 sul Zeulte Waregem, «vittoria perfetta» la definizione del tecnico), esibiscono due punti nel girone H, frutto di due pareggi e hanno un paio di assenti, tra cui litaliano Silvio Prato, il portiere. Ma dispongono di una nota arma, lo stadio-trappola, 28mila stretti come sardine dentro il Vanden Stock, e di una voglia di imitare gli azzurri al mondiale. «Se avremo più fame ce la faremo» promette Vercauteren.
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