Milan, che disastro regala al Liverpool una coppa già vinta

Incredibile finale di coppa: rossoneri in vantaggio 3-0 al riposo, raggiunti e superati ai rigori

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Franco Ordine

nostro inviato a Istanbul

Suicidio perfetto. Esiste nel calcio e da oggi fa storia oltre che giurisprudenza negli almanacchi della Champions league. È il suicidio calcistico s’intende del Milan, con le mani sulla coppa al culmine del primo tempo, 3 a 0 perentorio e senza discussione sulla schiena del Liverpool, ma poi sciagurato e molle, raggiunto in sette minuti di fuoco durante la seconda frazione e infine sorpassato dal dischetto al termine dei supplementari durante i quali sfiora il 4 a 3. Il suicidio fa più rumore forse di una eventuale conquista e sembra scritto da un perfido destino l’epilogo: il cecchino di Manchester, il tiratore scelto Shevchenko, sbaglia l’ultimo rigore. Con quell’errore dal dischetto, il Milan consegna la Champions league al Liverpool e si prepara a una ritirata malinconica. Istanbul è come la Verona di metà anni Settanta, fatale: qui rimediò un paio di sconfitte in coppa Campioni, qui subisce l’onta di una memorabile rimonta e di un feroce castigo che può far divertire juventini e interisti lasciando nello sconforto Ancelotti e Galliani, tutti i magnifici esponenti di una stagione strepitosa dalle mani bucate. Per vincere due volte una coppa c’è bisogno di uno squadrone. E invece il Milan di Istanbul reso piccolo piccolo dalla paura di sbagliare, si lascia tradire dai più collaudati tiratori scelti, Pirlo e Shevchenko. Forse a Istanbul non si chiude un ciclo ma si apre una crepa nel cuore del Milan oltre che nella testa.
Solo al primo Milan berlusconiano, solo all’Arrigo e ai suoi tulipani capitò di apparecchiare un primo tempo di finale di coppa Campioni così travolgente. Quel Milan non avrebbe subito l’onta della rimonta ma questo è un altro discorso. Qui a Istanbul il primo Milan di Ancelotti, grazie a un lampo del suo capitano, annuncia una notte memorabile che poi si trasforma in un incubo. Capita a Paolo Maldini di ritagliarsi il suo spicchio di gloria al primo assalto della sera: Pirlo cesella la punizione che la stoccata di Maldini trasforma nell’1 a 0 fulminante: di controbalzo il suo destro toglie al portiere Dudek ogni velleità. Quest’altro Milan, molti anni dopo Barcellona, sedici addirittura, senza olandesi, ma con artisti dello stesso livello, Kakà e Crespo, i nuovi Gullit e Van Basten, riesce ad asfaltarsi la strada prima di consegnarsi a una rimonta che ha dell’incredibile. Soffre dieci minuti appena, il tempo per Nesta di prendere le misure a Baros e a Seedorf di colmare tutte le lacune di Pirlo. Il Liverpool prima ferito, poi sfortunato (perde subito Kewell), quindi sventato non s’accorge di concedere troppo al contropiede milanista. E così mentre Kakà ricama, Shevchenko e Crespo provvedono alla bisogna. L’ucraino serve nel finale del primo tempo la palletta del 2 a 0, l’argentino aspetta l’assist del Riccardino per chiudere col pallonetto il 3 a 0 della prima frazione.
Ma dall’intervallo sbuca un’altra partita, un’altra finale, anche un altro Milan. In sette minuti sette, da sconfitto, morto, il Liverpool resuscita nel più semplice e travolgente dei modi. Pancia a terra, prende alla gola il rivale e lo inchioda sul 3 a 3. Ancelotti in piedi dinanzi alla panchina sembra aver perso dieci anni di vita, chissà in tribuna Berlusconi e Galliani, ammutoliti i ventimila rossoneri. Allentata la presa, smarrito il silicone nelle marcature, il Milan arretra pericolosamente e arretrando rotola nell’abisso. Su un cross laterale, Stam, al centro dell’area, resta impalato e Gerrard, di testa, può aprire il primo varco. Da una manovra avvolgente prende le mosse la staffilata di Smicer dal limite che Dida sfiora senza riuscire a deviare. Da un rigore discusso e discutibile (una trattenuta impercettibile di Gattuso su Gerrard) nasce il 3 a 3 di Xavi Alonso, su cui Dida abbozza una prodezza prima di arrendersi alla stoccata decisiva dello spagnolo in vantaggio su Nesta.
Quando il Milan si riprende dallo choc, la finale è tutta da rigiocare. Nel tentativo di riconquistarla Shevchenko e Crespo sbattono contro un paio di respinte fortuite a metà ripresa prima di consegnarsi al supplizio dei supplementari. È come se eupalla gli voltasse le spalle, a quel punto infastidita da tanto sperpero. Nel primo si mangia un gol Tomasson (subentrato a Crespo): Serginho (rimpiazzo di Seedorf) gli serve un cross al bacio.

Nel secondo Liverpool con i crampi, Rui Costa al posto di Gattuso, Sheva sfiora il colpaccio: Dudek è due volte prodigioso nel respingere sulla linea il colpo di testa e il tap in del Pallone d’oro. È la parata della finale. Infine i rigori. Alza Serginho, Pirlo lo specialista se lo fa parare, Sheva pure: è la resa.

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