Il Milan delle sorprese ha spiazzato tutti

È vero, il Milan ci ha spiazzati. Anzi ci ha sorpresi. Non certo nel sonno chè eravamo sveglissimi e il pessimismo cosmico dilagava tra schiere di tifosi rimasti lontani dallo stadio. Non può invece sorprendere il comportamento del Milan al ritorno da Torino e dallo snodo con la Juventus di solito pieno di significati subliminali. «Il presidente Berlusconi è contentissimo per il risultato e per il gioco espresso» l’unica concessione fornita da Adriano Galliani, regista del profilo basso spiegato con una riflessione che non fa una piega («siamo allenati alle sconfitte e alle vittorie, quando andavamo male non abbiamo perso la testa, così ora»).
Mercato al risparmio. La prima sorpresa è stato il mercato. Gli amanti della Juve, ad agosto, erano per strada col bandierone, quelli del Milan in ritirata e col muso, proteste reiterate rivolte contro Silvio Berlusconi e il piano di cedere Kakà per ripianare il bilancio, puntando su Ronaldinho. «Poca spesa, tanta resa» è lo slogan che andava di moda a Milanello e che adesso viene declinato come motto della real casa di Arcore. Anche i due acquisti proposti dal mite Leonardo furono bocciati: il francese del Porto Cissokho per questioni estetiche, il bosniaco Dzeko per il rifiuto del Wolfsburg a sedersi al tavolo del negoziato.
Debuttante in panchina. L’altra sorpresa è arrivata dalla panchina. Leonardo è partito per la sua avventura tra lo scetticismo diffuso. «Non voleva saperne di fare l’allenatore, l’hanno costretto» i primi giudizi. «Ferrara ha il dna del capo-branco, lui no» i primi impietosi paragoni ingigantiti dalle difficoltà iniziali, lo scivolone organizzativo avvenuto durante il derby (sostituzione di Gattuso con Seedorf) d’andata. Poi la sterzata, proprio dinanzi al burrone: intervallo di Milan-Roma, sotto di un gol, entra Ronaldinho, esce la paura, la squadra si vota all’attacco ottenendo la rimonta. Non solo ma in caso di necessità e infortuni, eccolo far ricorso a un paio di giovanotti considerati poco più che ruote di scorta: Abate e Antonini.
Senza il grande trio. Far di conto, nei giorni più complicati della stagione milanista, era semplice. Il vecchio, caro, grande Milan senza più Ancelotti, Kakà e Maldini sarebbe finito a metà classifica e fuori al primo turno di Champions. Elementare, Watson. E invece è venuto fuori un altro film, la cui scena madre è di domenica notte a Torino, quando il gruppetto dei rossoneri è andato sotto la curva amica, a cantare e saltare la loro esultanza. Non s’era mai visto, neanche dopo l’impresa del Bernabeu, a Madrid.
Nesta, Thiago e Dinho. Nesta era reduce da una complicata operazione chirurgica alla schiena, seguita a un anno di inattività: i precedenti milanisti (Ziege, Weah, Cruz e Serginho) scoraggiavano qualsiasi pronostico favorevole, nessuno era tornato all’attività. «Io ce la farò» promise Nesta incontrato a Miami da il Giornale nel gennaio del 2009. È stato di parola e adesso gli fanno la corte serrata Lippi e gli azzurri per convincerlo a trasferirsi in Sud Africa. Su Thiago aveva garantito Paolo Maldini: «Dategli un maestro al fianco e vi ritroverete un gioiello» la profezia. Sono la coppia più forte d’Italia, forse anche al mondo. Per Dinho, Berlusconi organizzò il giuramento del tavolino e pensarono tutti che fosse una “baracconata”. A leggere i numeri del brasiliano, 6 gol suoi più 8 assist, c’è da restare senza parole.

Certo, non è tornato quello irresistibile di Barcellona, da Pallone d’oro. Ma il punto di partenza era un altro: giocava su una mattonella, non rincorreva nessuno, era un peso per la squadra. Su quella mattonella, adesso balla che è un incanto.

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