Franco Ordine
nostro inviato a Milanello
Il Milan, stasera, è davanti a un bivio: dentro o fuori. Non ha scelte: deve piegare i tedeschi sottostimati dello Shalke 04 (conti alla mano gli può bastare anche il pari) all’ultimo giro per garantirsi il primato e il passaggio del turno in un colpo solo. Destino crudele e spietato, d’accordo, ma conseguenza diretta di un cammino incerto e contraddittorio: qualche passo falso, in casa col Psv, qualche gol balordo incassato (a Gelsenkircken), prima dell’impennata di orgoglio, a Istanbul, raffica di Shevchenko, 4 gol in una notte sola. Dentro o fuori, allora. Dentro l’Europa, qualificato per gli ottavi di Champions league (vale circa 25 milioni di euro), oppure fuori dalla coppa Campioni, il suo torneo preferito, risultato sciagurato per il club che regge da tre anni il primato nel calcio italiano grazie ai suoi strepitosi piazzamenti (due finali e un quarto di finale in tre stagioni). «E infatti la società prevede premi per la finale di Champions e per il primo o secondo posto in campionato» ricorda didascalico Adriano Galliani che non chiude occhio da sabato notte. In palio, oltre al bilancio societario e al reddito pro-capite, c’è anche l’onore.
Per abbreviare e rendere meglio l’idea si può anche aggiungere: tutto o niente, in una notte, per il Milan sbertucciato dal Chievo e messo alla berlina dallo strapotere di Fabio Capello nelle ultime quarantotto ore, tra Verona e Firenze. Il Milan, e Ancelotti in prima fila, si giocano tutto perché col campionato che vola via verso la casa madre torinese, centrare la qualificazione, magari col primo posto, garantito in caso di successo sui tedeschi dello Schalke 04, consente all’allenatore e al gruppo dei suoi stagionati eroi di lenire le ferite, dedicare, da qui fino a fine febbraio, le migliori energie e le risorse collettive al servizio di un ipotetico inseguimento nei confronti della superJuve.
Non c’è Milan senza Champions league: la precoce esclusione costituirebbe un imbarazzante risultato, diventerebbe la spia rossa di una crisi conclamata, già avvertita al culmine delle prime settimane della stagione, nonostante la promettente striscia di otto successi di fila. «Sono i record della Juve che accentuano i nostri problemi, abbiamo collezionato gli stessi punti di un anno fa» sottolinea Ancelotti. «Mi fido del Milan, raramente ha sbagliato le partite-chiave della stagione», ripete Carletto ed è l’ottimismo di facciata esibito dinanzi a questi tedeschi, senza nomi né stelle, ma capaci di perdere una sola volta nel girone, a settembre, col Psv e poi d’infilare una bella serie di promettenti risultati. «Siamo qui per vincere», il proclama del suo rivale dichiarato, Ralf Rangnick, allenatore sconosciuto dello Shalke 04. I tedeschi non possono fare barricate: non è nelle loro corde, il pari non è sufficiente a garantire lo sbarco negli ottavi di finale. Verranno avanti, sicuri di cogliere il nervo scoperto del Milan, la sua difesa carica di anni, acciacchi e anche di clamorose pause e nella quale Maldini promette di tornare alla guida.
Ancelotti accoglie la sfida puntando su una virtù: a San Siro, in campionato, ha sempre vinto, sette volte su sette. Avrà bisogno del miglior Kakà, accreditato di un discutibile smalto, per via dell’incidente muscolare conosciuto a Istanbul ma anche perché «assorbito» dai preliminari del matrimonio. Ma in particolare deve dotarsi di un attacco dalla mira migliore: Gilardino ha dilapidato col Lecce, Shevchenko ha sbavato col Chievo la palletta del comodo 2 a 0.
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