Il Milan alla sfida impossibile «Meglio la coppa dello scudetto»

Il rimpianto e l’orgoglio. Diviso quasi a metà tra i due sentimenti in palese contrasto tra loro, il Milan stasera prova a rovesciare tutto o quasi. Il macigno pesante di un risultato negativo (servono 2 gol di scarto per passare il turno) maturato all’andata, la tradizione favorevole ai diavoli di casa, gli inglesi dell’United, e lo scarso credito raccolto in giro dal giorno della partenza di Kakà e dall’inaugurazione del mercato a costo zero. Partiamo dal rimpianto contenuto nelle parole stesse di Adriano Galliani. «Avessimo battuto lo Zurigo, adesso saremmo a Lione ad affrontare un ostacolo meno impegnativo» segnala. E forse c’è anche un po’ di rimorso per quel girone vissuto in modo contraddittorio, esaltato dai successi di Madrid e Marsiglia ma poi umiliato dal punticino guadagnato nella doppia sfida con gli svizzerotti. Rimpianto ingigantito dalla confessione di fondo che è ormai un must del Milan berlusconiano e una frecciatina «all’altra squadra di Milano». «Tra scudetto e Champions non c’è paragone: tutta la vita la Champions» scolpisce bene le parole Galliani.
Il rimpianto serve a poco. Meglio allora coltivare la pianta dell’orgoglio patriottico: può contribuire al recupero della memoria di passate imprese giudicate impossibili e invece piegate alla ferrea volontà di uomini veri prima che calciatori di spessore internazionale. «Già a Roma abbiamo giocato senza farci intimidire dallo stadio tutto esaurito: questo significa che non abbiamo ancora perso le nostre caratteristiche di grande squadra» detta sempre Adriano Galliani a conferma che l’abitudine alle sfide epiche può essere una qualità decisiva nella notte dell’Old Trafford. Al pari della tradizione storica. «I tabù sono fatti per essere sfatati» è la convinzione con cui il vice-Berlusconi prova a cementare il clima di misurato ottimismo impreziosito dal «possiamo farcela» diventata una corazza indossata dai rossoneri. «La mia fiducia nasce dalle ultime prove del Milan» è la spiegazione razionale di Leonardo, il primo e unico, dopo la doccia scozzese del 2 a 3 a San Siro, a ricaricare le pile rosso-nere. L’ultimo Milan ha provocato una impennata delle azioni. La mentalità dimostrata al cospetto della Roma e il governo della palla e del gioco aggiunti allo smalto complessivo sono una dimostrazione di grande efficienza. È mancato al Milan solo il gol, sfiorato a più riprese da Borriello, Huntelaar e Ronaldinho. «È la sfida più importante da quando sono al Milan» l’etichetta scelta da Ambrosini, il capitano che pure ne ha vissute di finali e finalissime.
Con Pato ai margini (traduzione: va in tribuna), con Seedorf seduto in panchina (per l’emergenza), proprio sulle spalle del Gaucho sono riposte responsabilità persino eccessive cui ha rimediato Leonardo con un distinguo da sottoscrivere. «Il Milan può farcela se gioca bene tutta la squadra non solo Ronaldinho» l’obiezione. Ecco allora il pilastro su cui il Milan pensa di costruire l’impresa: affilare le sue armi migliori e affrontare il Manchester col piglio dei combattenti di razza, senza cedimenti al calcolo. «Conterà lo spirito» è l’idea del giovane brasiliano: non gli fa certo difetto il coraggio. Meglio prendere il Manchester di petto, insomma. Non ha Pato a disposizione ma può schierare Huntelaar al fianco di Borriello e di Ronaldinho per dare all’attacco lo spessore di cui c’è bisogno per artigliare i due gol richiesti dal tabellino. Ha Beckham nel gruppo, accolto in patria come un vero re all’aeroporto, «un momento quasi religioso» l’osservazione di un tifoso vestito con la divisa dell’United, ma pronto a rendere omaggio all’antico beniamino, eppure è probabile che mediano giochi ancora Flamini, autore di una super prova a Roma. Un solo dubbio: Antonini (al suo posto Abate).

A dimostrazione che qui viene premiato il merito, non il censo di Gattuso, storico esponente, oppure la suggestione provocata dalla presenza di King David. Così dalla panchina possono arrivare Inzaghi, Beckham e Seedorf la carta della disperazione.

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