Il Milan si ribella al fallimento «E ora vinceremo lo scudetto»

BILANCIO Grazie a un mercato in attivo, 70 milioni, è già tanto fare concorrenza all’Inter

Silvio Berlusconi ha spento la tv sul 2 a 0 per il Manchester. Meglio risparmiarsi lo spettacolo finale con Rooney e gli altri red devils scatenati. «Io piango e metto il grano» lo sfogo del presidente. Scontato che la stampa inglese celebrasse il 4 a 0 e la qualificazione in carrozza dell’United: «Milan piallato», «Milan smantellato» e via così i titoli più vistosi dedicati alla magica serata dell’Old Trafford impreziosita dalla struggente accoglienza riservata a Beckham, cui alla fine, hanno messo al collo una sciarpa, segno tangibile dell’affetto eterno. Vendicata, finalmente, dopo tre anni l’umiliante sconfitta del 2007 in semifinale, patita dinanzi a un altro Milan (Kakà e Seedorf gli eversori rossoneri, Ancelotti in panchina).
LA VERGOGNA DI ABBIATI Triste il viaggio di ritorno da Manchester, nel cuore della notte, degli ex padroni dell’Europa del pallone. Scandito da qualche voce coraggiosa proveniente dallo spogliatoio tipo quella di Christian Abbiati, il portiere, tra i meno colpevoli a dispetto del cappotto, franco nell’ammettere: «In questo momento un po’ mi vergogno, perché la squadra più titolata al mondo ha perso 4 a 0». Di pari valore la confessione resa da David Beckham entrato a figuraccia ormai consumata. «È stato un po’ frustrante vivere una partita del genere partendo dalla panchina, tuttavia non posso dire cosa sarebbe cambiato se avessi giocato dal primo minuto» la confessione, un mix di pessimismo cupo e di onorevole realismo. Scaricato dal presidente Lula che di Ronaldinho è sempre stato un fan. «Dinho ha tanta qualità ma la qualità da sola non basta in un mondiale» il giudizio appuntito del presidente brasiliano. Ha coinciso con il flop del brasiliano all’Old Trafford dove brillò la stella di Kakà, di Seedorf, di Crespo, nel passato.
L’ANSIA PER NESTA Allo sfregio ricevuto, si è aggiunta poi la preoccupazione per il bollettino medico diventato una sorta di comunicato della protezione civile: morti e feriti tutti i giorni o quasi. Da Manchester Leonardo è tornato con una fifa (attenti alla minuscola) blu per la salute di Nesta, fermatosi mercoledì mattina dopo aver patito dolore al ginocchio sinistro dalla partita con l’Atalanta. Preoccupato (si teme la lesione meniscale: in tal caso operazione indispensabile, stagione quasi chiusa e addio mondiale), il romano, in palese contrasto con le abitudini della casa, ha fissato una visita a Roma dal professor Mariani (lo stesso che ha operato Totti). «Ho paura che sia un infortunio serio» la chiosa consapevole di Leonardo che col Chievo domenica deve anche rinunciare a Bonera (contrattura al polpaccio sinistro, ricaduta), Antonini (idem come sopra, polpaccio destro), oltre che a Pato. «Troppi guai per cercare l’impresa» la giustificazione del tecnico.
LA SPIEGAZIONE DI LEO Il primo a puntellare il credito di Leonardo è stato Adriano Galliani, crocerossino di quest’ultimo Milan, ago e filo in mano a ricucire ogni sbrego che si apra nel drappo rossonero. «Bonera è uscito per infortunio» il suo annuncio. Aggiunto alla spiegazione onesta dell’interessato. «Arretrando Ambrosini per far entrare Seedorf volevo fare due mosse con una sola sostituzione» il chiarimento. C’era Favalli in panchina e forse non si fidava. A casa aveva lasciato sia Oddo che Kaladze, ormai esclusi dal giro perché giudicati non idonei. La segnalazione porta dritto al bilancio da redigere sul conto del Milan.
NON È UN FLOP Il popolo milanista è ripiombato nella più cosmica disperazione. I messaggi spediti a giornali di riferimento, canale tematico e sede sociale, sono contraddistinti da una colorita insalata di espressioni («siamo al disastro», «non siamo più il Milan» i più educati) con feroci attacchi alla proprietà. Eppure quello del Milan di Leonardo non è un fallimento. Nessuno poteva immaginare che l’ex armata, con un mercato chiuso in larghissimo attivo (quasi 70 milioni di euro), ceduto Kakà, con Maldini ritirato e Ancelotti partito per Londra, potesse fare concorrenza all’Inter che ha un bilancio in rosso di circa 180 milioni di euro. «Ormai le graduatorie europee somigliano sempre più agli introiti dei club» il tasto dolente toccato da Galliani. Non solo. Ma il credito in Champions era inferiore a quello maturato in seguito ai successi di Marsiglia e Madrid. Il Milan ha un numero ristretto - 13, al massimo 14 - di titolari all’altezza del blasone. Appena qualcuno di loro scade di condizione (Ambrosini e Borriello tra Roma e Manchester) o resta fuori per infortunio (Pato, Nesta, Seedorf, Zambrotta: 4 su 11 sono troppi) il declino collettivo è inevitabile. Leonardo ha fatto fin qui un lavoro coi fiocchi valorizzando giovani considerati persi per la causa (Abate, Antonini, Huntelaar), dando precedenza al merito rispetto all’anzianità (fuori Inzaghi, Kaladze, Oddo, Gattuso), alimentando con scelte coraggiose la rimonta in classifica. Non può essere buttato tutto nel cestino dei rifiuti. «Il Milan non è da rifondare» la certezza di Ancelotti.

Perciò Adriano Galliani ha avuto la forza di riaccendere la fiammella con un pronostico azzardato. «Vedrete che sarà come dopo La Coruna, quando perdemmo 4 a 0, fummo eliminati in Champions ma vincemmo lo scudetto» la frase. Forse non basterà.

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