Cronaca locale

Milano, la città con i boschi sulle terrazze

Dice il saggio che l’uomo cammina con lo sguardo in basso, quando invece dovrebbe alzare sovente le ciglia al cielo. Se i milanesi ci provassero, si accorgerebbero che sui tetti della città ondeggiano con una certa vegetale strafottenza beate corone di piante, arbusti e covoni di fogliame che debordano dall’orlo di un palazzo come schiuma di latte alla menta: succede in viale Majno, casa della famiglia Ligresti. Poi gli orti con tanto di pomodori e zucchine nascosti dall’altezza, come quello dell’ex sindaco Letizia Moratti. Verzieri intriganti che fanno capolino dai piani alti di via Montenapoleone, sulla terrazza adiacente allo stabile di Ralph Lauren, un tripudio di fronde che appartiene a Filippo Pagani, organizzatore di serate di moda. Isole selvagge che sfoderano anche il vezzo di una tendina da campeggio sul cocuzzolo - zona piazza Cavour -. Insomma quella cima d’Olimpo sull’ultimo brano «terrestre» che fu il vero lusso di metropoli antiche, basta pensare alla Babilonia di Nabucodonosor.
Da quando sono iniziati a comparire gli eden metropolitani? «Per Milano rappresentano nuove dimensioni. Qui non c’è la tradizione mediterranea della terrazza romana. La cultura meneghina è sempre stata agreste, ovvero cultrice della casa in campagna, e se si trovava uno spazio in centro dedicato alla vegetazione, era il cortile. Oggi, invece, bastano pochi metri esterni e il milanese vuole realizzare il piccolo sogno di un garden casalingo». Francesca Marzotto Caotorta, diplomata in paesaggismo alla Ichbold School of Design di Londra, «quercia» del mensile Gardenia, autrice di volumi di cui l’ultimo porta un titolo che ricorda un celebre libretto di Hermann Hesse, All’ombra delle farfalle, crea, si prende cura e conosce gli ombrosi vezzi dei tetti ambrosiani. Ora è estate, stagione difficile ma non impossibile, benché i terrazzini sotto il Duomo diano il meglio di sè in primavera e a settembre.
I suoi preferiti? «Le scenografie raccolte, realizzate dal proprietario secondo la sua fantasia. Una è sui Navigli. Un poggiolino arredato con tanti annaffiatoi colorati, pieni di verde. Credo sia asparagina. Non è pregiata ma quando esplode è veramente deliziosa e soprattutto forte. Un’altra si affaccia a piazza Oberdan, nella zona di Porta Venezia. Offre la bella vista di tanti vasi di Caltagirone, teste e orologi, in cui le piante crescono con grazia. Si avverte che la scelta dipende dal talento e dall’amore di chi ci abita».
Per i prati e le sue aiuole che si celano in spazi da vertigine, Milano in genere sceglie sempreverdi. Ma si sbizzarrisce come un cavallo libero per tutta l’offerta della prateria da giardinaggio. In corso Venezia, in congiunzione con San Babila, c’è un filare di cipressi. Vicino, una lunga cortina di bambù, scelto da Diana Valentigatto, dello studio di architettura Massimo Reccanello Partners. Lassù: forse a contrastare l’ultima cortina di smog, forse a rappresentare una voglia di parco salita in un luogo di rarefazione delle faccende giornaliere, tanto che qualcuno si è chiesto: «Quando un giardino in cima al Pirellone?».
Un tempo c’è stata la moda dell’olivo, non del tutto attecchita, anche se anticamente in città la coltivazione di questo splendore dal tronco contorto e dalla foglia verde e argento, doveva essere più diffusa di quanto si possa credere, visti alcuni nomi di strade, come via degli Olivetani. «Significa che in Lombardia erano coltivati. Sui tetti ci sono ancora e qualcuno ha avuto la soddisfazione di raccogliere anche un chilogrammo di olive. Ma per suo gusto la città tende al piglio grandioso o al tocco originale. Chicas e palme per un lussureggiante parterre della moda: i suoi proprietari - Domenico Dolce e Stefano Gabbana - amano l’antica vena mediterranea che sa vivere anche qui. Conosco una terrazza piccolina dove si possono ammirare tutte piante australiane».
In San Babila, al nono piano di uno stabile, che ha l’entrata in Galleria Passerella 1, viene all’occhio, là, prima delle nubi, un bosco. I proprietari non sono milanesi, ma lavorano da ben dieci anni per rinfoltire la selva in cima al cemento. Ma quale cemento? Se camminassimo come un gatto o uno spazzacamino sui tetti potremmo riposarci all’ombra di un abete o strusciarci su cespugli di ortensie che fanno da corona a una casetta degna di Lady Chatterley, in piazza Cavour.
E la rosa? Nome, simbolo, essenza imprescindibile al centro di tutti gli eden della terra. Eppure basta passeggiare per il centro o nei nostri parchi per accorgerci che la misteriosa imperatrice non è diffusa nella città della Madonnina. Cespugli di paglierine ne appaiono di fronte alla Scala. «Non c’è un clima per lei - annota Francesca Marzotto -. A Milano si ammala molto. Anche se con alcune categorie più robuste oggi si rischia di più. Tra i fiori qui si preferiscono le camelie, le azalee, i rododendri. Acidofile sempreverdi. Si tenta anche la gardenia ma con il freddo non regge. La terrazza lombarda non disdegna le piantine da bulbo.

Su tutti i fioriti impera il gelsomino, il profumo dominante delle strade all’ombra del Duomo».

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