«L a moda mi piace, ma preferisco il design e l'arte». Concreta e decisa, Barbara Berlusconi arriva sola alla galleria Cardi Black Box (di cui è fondatrice insieme a Martina Mondadori e Nicolò Cardi) per il vernissage della mostra «Background Story». È la prima uscita ufficiale dopo la nascita, a luglio, del piccolo Edoardo, il suo secondogenito, e Barbara - in un abito di seta beige - è in forma smagliante. Fa gli onori di casa, saluta amici e conoscenti - la galleria è strapiena - e non perde occasione per sottolineare l'importanza per Milano di sostenere l'arte contemporanea. Anche in una serata così glamour, perché questa è la serata della moda che si apre alla città per la causa del verde, la Fashion's Night Out organizzata da Vogue Italia e dal Comune. Ma è anche la dimostrazione che arte e moda possono convivere benissimo. Anche se poi, fra i tanti volti della moda passati al vernissage (fra gli altri la stilista Anna Molinari), la primogenita del premier e Veronica Lario, a chi le domanda se ha intenzione di disegnare abiti, risponde: «No, mi appassiona di più il design».
Come vede il connubio moda-cultura più volte auspicato dall'assessore Finazzer Flory?
«L'arte può essere un veicolo per la moda, e viceversa. Certo, la moda è una realtà molto importante per Milano, e può essere un mezzo per diffondere la cultura, ma la moda da sola non può farsene carico».
E cosa serve a Milano per diffondere la cultura?
«Servono realtà forti come la nostra. Noi, con la nostra galleria, siamo un polo importante per Milano, una realtà quasi unica, a metà fra il museo e la galleria d'arte. Una delle poche gallerie ad avvalersi della figura del curatore».
E soprattutto puntate sui giovani...
«Prediligiamo la qualità, e non puntiamo solo sui giovani. Noi siamo giovani
Siamo un esempio per chi ha voglia di fare qualcosa di nuovo: noi l'abbiamo fatto».
Ma per i giovani non è così facile affermarsi a Milano, neppure in ambito imprenditoriale...
«Le idee ci sono, si tratta di riuscire a far emergere i giovani attraverso aiuti pubblici. Mancano gli aiuti da parte del pubblico, ma c'è anche una tendenza generale: chi riveste ruoli importanti non ha la volontà di far emergere i giovani. Ma così si rischia di essere autolesionisti. Sembrerà una banalità, ma chi oggi è affermato, ieri è stato un giovane e dovrebbe sapere e capire che i giovani vanno aiutati».
Trova che Milano sia una città ostica dal punto di vista culturale?
«Aprire una realtà di arte contemporanea a Milano non è facile, perché il pubblico non è così vasto».
È una critica a Milano?
«Milano mi piace, ma ci dovrebbe essere più apertura. Anche noi, quando abbiamo creato questa nuova realtà, siamo stati fortemente criticati, non abbiamo avuto supporti dal mondo dell'arte, poi piano piano...».
Quali messaggi può trasmettere l'arte oggi?
«Oggi siamo qui per dire che la storia dell'arte può e deve essere legata alla verità. Presentiamo dei lavori cruenti, ma non violenti. Diciamo che in questa mostra, e soprattutto negli scatti di Letizia Battaglia, sono state immortalate alcune immagini drammatiche che ricorrono in tutta la storia dell'arte. Ad esempio, l'uomo che viene estratto da un tombino, in cui vive rubando rame per sfamare i figli, ricorda la deposizione del Cristo dalla croce».
Quindi anche la cronaca può far riflettere?
«Non è solo cronaca: qui si coglie ciò che va oltre lo scatto, e questa oltre che arte, è un modo per riflettere sui fondamenti umani. E su un tema di cui non si può assolutamente non parlare: la mafia. Per questo abbiamo bisogno dell'arte».