MilanoC’è un che di paradossale nell’ultimo valzer giudiziario a cui è costretto il presidente del Consiglio. «Amo le donne», dice Silvio Berlusconi. E tre donne lo accusano. «Magistrati talebani», tuona il Cavaliere. E un magistrato, da giorni, recita il mantra della prudenza. Primo, la via privata del premier è - appunto - «privata». Secondo, i giudici non fanno la fila davanti al buco della serratura di Arcore. Terzo, il «sexy-gate» che ha investito il leader del Pdl è una fuga in avanti dei giornali. E a dirlo non è una toga qualunque. È Edmondo Bruti Liberati, il capo della procura di Milano. È lui che coordina il lavoro di Ilda Boccassini, di Piero Forno e del pm Antonio Sangermano, impegnati a raccogliere le testimonianze di una piccola schiera di giovani escort. E che, dopo aver «assolto» la questura per la pratica di rilascio di Ruby, ieri si è nuovamente esposto. Perché «tutto quello che è nel registro degli indagati non può essere comunicato». Ma «per ragioni istituzionali, devo dire che il presidente del Consiglio non è indagato».
Passa così un’altra giornata vissuta tra promesse di chiarimenti (la squillo Nadia Macrì annuncia una conferenza stampa, salvo poi far saltare tutto), e grandi frenate degli inquirenti. Spiegano i legali della ragazza, gli avvocati Domenico Noris Bucchi e Enrico Della Capanna, che l’incontro con i giornalisti è sfumato perché «ci è stato imposto dall’autorità giudiziaria». Diversa la versione di Bruti Liberati. «Nessun veto alla conferenza stampa, i veti preventivi non sono conosciuti nel nostro ordinamento: possiamo solo secretare gli interrogatori». La verità, più probabilmente, è che dal palazzo di Giustizia milanese sia giunto un «invito» a evitare uno spettacolo difficilmente gestibile davanti a taccuini e telecamere. E così, la versione della escort rimane quella resa ai pm di Palermo: «Incontrai due volte il premier, mi diede 10mila euro».
Ma da Palermo arriva anche un’altra testimonianza. È quella di Perla Genovesi, ex assistente di Enrico Pianetta (già senatore del Pdl), arrestata a luglio nel corso di un’inchiesta su un traffico di cocaina. Genovesi ha raccontato di finanziamenti poco trasparenti procurati all’ospedale San Raffaele e alle fondazioni di don Luigi Verzé tramite la Commissione del Senato sui Diritti umani, presieduta tra il 2001 e il 2006 proprio da Pianetta. Anche qui, il procuratore frena. Il verbale è sì arrivato a Milano, ed è stato affidato al pm Sangermano, ma «allo stato non c’è nessun fascicolo». Ci sarà tempo, in altre parole, per affrontare questo filone di indagine. Al momento, la Procura vuole venire a capo del giro di prostitute a cinque stelle che animava le notti milanesi, e non solo quelle di Arcore. Esisteva una scuderia di squillo d’alto bordo? Chi la gestiva, e qual era il tornaconto? Con ogni probabilità, il numero degli indagati non si limita ai tre già emersi (Mora, Fede, Minetti), e l’attività dell’ufficio gip di Milano (che da luglio maneggia il fascicolo e che ha autorizzato un gran numero di intercettazioni telefoniche) dice che l’attività della procura è andata ben oltre il semplice screening delle testimonianze. E che quelle carte facessero gola, lo dimostra anche la notizia lanciata ieri dall’edizione on-line dell’Espresso, secondo cui nella seconda metà di agosto vennero scassinati prima l’ufficio del presidente dei gip, poi quello del magistrato titolare delle indagini su Ruby.
L’ultima delle smentite, infine, riguarda le voci di filmati che ritrarrebbero le serate a villa San Martino. Ancora una volta, Bruti Liberati nega. «Non abbiamo né video né foto all’esame di questa Procura».
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