Milano, il Nobel Fo surclassato dall’ex prefetto

Sabrina Cottone

da Milano

Ha vinto il prefetto con l'eskimo ed eccolo subito pronto a rivestirsi da moderato. Bruno Ferrante, il candidato di Ds e Margherita, ha più che doppiato Dario Fo nelle primarie del centrosinistra per il candidato a sindaco di Milano: 67,6 a 23,3 con quasi settantamila schede scrutinate su ottantamila. Ma il premio Nobel ha portato a casa un bottino consistente di preferenze e le rivendica una per una: «Ventimila voti non sono mica da buttare via, è una città». Arriva il sostegno di Fausto Bertinotti. «La sinistra radicale ha dimostrato la sua importanza» dice il segretario di Rifondazione che nello scontro con Romano Prodi si era fermato sotto il 18 per cento.
Il vincitore Ferrante però fa sapere che non farà prigionieri. «Andrò avanti per la mia strada. Non dobbiamo dare spazio a chi, come Dario Fo, ragiona solo in termini di scontro. No al parcheggio come no a tutto». Franca Rame, la moglie che in questi mesi gli ha fatto da alter ego e portavoce, lancia la controffensiva: «Andremo avanti con i nostri discorsi. Il gran colpo sarebbe stato scegliere Dario, se non avessero avuto paura». E le responsabilità sono dei Ds, colpevoli di voler candidare «un poliziotto». Come dire, la guerra continua anche dopo le primarie.
Arrivano le telefonate di congratulazioni di Romano Prodi, poi del segretario dei Ds, Piero Fassino, e del leader della Margherita, Francesco Rutelli. «Ora uniti per battere la destra» è il sogno di Fassino. Nella realtà non c’è molto spazio per scenari idilliaci. Ferrante attacca subito Rifondazione e avverte che non si illuda di pesare per il fatto di aver sostenuto Fo: «I partiti si contano alle politiche e alle amministrative. Non è che Rifondazione adesso chiede il vicesindaco». Non lascia grandi speranze neanche agli avversari, a Milly Moratti, la moglie del presidente dell'Inter Massimo, e all'outsider riformista Davide Corritore: «Le primarie sono state un dibattito tra persone con culture diverse». E di nuovo: «Andrò avanti per la mia strada».
Insomma, la battaglia nell'Unione è appena iniziata, senza la tregua che qualcuno poteva aspettarsi la sera del voto. Dario Fo si è ritirato in solitudine. Bruno Ferrante ha aspettato i risultati nel suo quartier generale in una elegante via del centro e solo alla fine ha raggiunto i partiti che festeggiavano in periferia. «Andrò avanti con la mia lista civica» l’annuncio che suona quasi come una minaccia, soprattutto per la Margherita, stretta tra una lista civica che rischia di portarle via tanti voti e una lista unitaria con i Ds che al momento è poco più di un miraggio.
Lo sfidante di Letizia Moratti tenta di dare un significato politico alla vittoria. Sono andati a votare ottantamila milanesi, ventimila in meno di quelli che nell'ottobre scorso si erano scomodati per legittimare la candidatura di Romano Prodi a candidato premier. Ma Ferrante è contento comunque, dà la colpa alla neve e la butta sull'antiberlusconismo: «È un segnale contro il governo, parliamo della città di Berlusconi e tanti milanesi sono andati a votare. Non sono convinto che siano tutti di sinistra». La candidata della Casa delle libertà sceglie il fair play: «Mi auguro un avversario leale». Ferrante al momento va all'attacco: «Ho rispetto per lei ma con il suo dirigismo farà esplodere i conflitti sociali».
In questi mesi l'ex prefetto ha avviato una mutazione che lo ha trasformato in una specie di barricadiero. Per guadagnare consensi a sinistra ha detto cose a volte sorprendenti. E nell'autobiografia offerta ai fan del suo sito, ha messo l'eskimo sessantottino tra i cimeli che hanno fatto la storia della sua vita: «È un ricordo delle manifestazioni di quegli anni». Poi si è lanciato in una difesa del centro sociale Leoncavallo.

«Deve restare dov'è, svolge un ruolo di supplenza rispetto alle istituzioni» l'ultima delle uscite, che ha scatenato la derisione di Fo. «È un questurino» uno dei migliori complimenti che il Nobel ha riservato all'ex prefetto. E ancora: «Dice le stesse cose che dico io, solo il giorno dopo». All'indomani delle primarie, forse cambierà ritornello.

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