Ma Milano non faccia avanspettacolo

Che il Tribunale amministrativo regionale, il famigerato Tar, desse torto al sindaco Letizia Moratti intimandole di reintegrare Vittorio Sgarbi nel ruolo di assessore alla Cultura del Comune di Milano, non desta meraviglia. Alle sentenze del Tar, sempre favorevoli a chi si oppone a provvedimenti emanati da un'autorità, abbiamo fatto il callo. Si ricorre a quel magnanimo tribunale - e sempre, e immancabilmente con successo - anche per revocare la bocciatura d'un figlio ciuccio, della cui ciucciaggine ai genitori importa niente, ma che se certificata sulla pagella finirebbe per compromettere il programma delle vacanze. Figuriamoci dunque se non avrebbe dato ragione a Sgarbi per dare in testa a un sindaco. Di destra, poi. Anche il comportamento di Letizia Moratti non desta scalpore. Donna pratica, donna che va al sodo, una volta deciso di liquidare Sgarbi lo ha fatto senza assoggettarsi agli ipocriti balletti del formalismo burocratico. Manchevolezza che ha consentito al Tar di considerare nullo - per «difetto di comunicazione». Oh là là! - il provvedimento. Chi invece in questa vicenda (squalliduccia) ha sorpreso è proprio Vittorio Sgarbi. Da un geniale giamburrasca ci si può e ci si deve aspettare di tutto. Con quel suo gusto per la provocazione, il talento nell'innescare polemiche, il riconosciuto palato fine ma non per questo misurato è quel che si dice una mina vagante e se un addebito mai si può fare a Letizia Moratti è il non averne tenuto conto. L'aver sottovalutato la portata, in kilotoni, di quell'ordigno. Ma il Tar, no. Questo a Sgarbi non glielo si perdonerà mai.
Ma come? L'uomo che a Salemi vuol rivivere l'esperienza dannunziana, immaginifica di Fiume, il sindaco che nomina Graziano Cecchini, il futurista che mutò in Arbia la Fontana di Trevi, assessore al Nulla, l'esteta, il narcisista Vittorio Sgarbi che si rivolge al Tar? Come un impiegatuccio mezzemaniche inviperito perché il capufficio gli ha cambiato scrivania? Lui, che prende e lascia a seconda dell'estro e con piglio napoleonico, piagnucola d'esser stato licenziato «su due piedi, come un cameriere»? Che caduta di stile, che rovinoso götterdämmerung per chi, non immeritatamente, certo, era asceso all'olimpo mediatico degli dei. E insiste, e persevera nella sua calata agli inferi promettendo di presentarsi, venerdì prossimo, a Palazzo Marino per riappropriarsi, «con tutta crudeltà», dell'assessorato alla Cultura. Un'altra sceneggiata. E a pagarne il conto sarà l'immagine della città di Milano, proprio quando è sotto gli occhi di tutti per essere stata scelta come sede dell'Expo. Sarà facile, per chi è in vena di sfottò (e quelli non mancano mai, non vanno mai in vacanza), ricamarci sopra tirando in ballo la commedia all'italiana, la vena arlecchinesca che serpeggia nella capitale morale e le mattane di chi confonde un assessorato con un'investitura divina.
Noi tutti, qui al Giornale, stimiamo e vogliamo bene a Sgarbi e se ci fosse bisogno di alzare barricate a sua difesa, ci mettiamo i mobili. Quanto meno io ci metto i mobili. Pertanto, se è convinto d'aver subito un sopruso, non saremo certo noi a cercare di convincerlo del contrario. Faccia dunque la sua battaglia. Ma non così, non con questi mezzi un po' pitocchi e molto fracassoni, con questi atteggiamenti da rodomonte.

Perché Rodomonte è una figura comica. E come ammoniva il saggio duca di Guine, se mentre i vizi, il malcostume e gli errori alla fine lasciano generalmente il tempo che trovano, il ridicolo no. Il ridicolo uccide.
Paolo Granzotto

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