La prima Milano-Sanremo? Era un Gran Premio di auto

di Cristiano Gatti

Quant’è chic questa Sanremo del 1906. C’è già il mito aromatico dei fiori. Ci sono già i grandi alberghi (che purtroppo più nessuno ha toccato fino ai giorni nostri). C’è il Casinò, inaugurato giusto l’anno prima, per fare concorrenza alla dolce vita della Costa Azzurra. C’è tanta bella gente che sverna, che spende, che sogna e che un po’ se la tira. Più lontano, ci sono i grandi sogni della tecnologia e della meccanica, materializzati nei mega-progetti del Sempione e del siderurgico Falck. E intanto, nelle fabbriche, gli operai guardano timidamente alle riforme di Giolitti, sperando di arrivare davvero ad una previdenza sociale, alla limitazione dell’orario e al riposo festivo.
Sì, c’è un sacco di carne al fuoco e c’è un continuo sferragliare di idee, in questo 1906 che ancora non ha sentore di apocalisse bellica. In questo stesso anno, il barone De Coubertin organizza un’edizione extra delle Olimpiadi, nel decennale della prima volta, anche e soprattutto per far dimenticare le sgangherate innovazioni dei Giochi di Saint Louis 1904, passati alla storia con il lancio del macigno, la corsa dei barili, le giornate antropologiche riservate a pellerossa, indios e pigmei.
Dieci anni compiono i Giochi, dieci anni compie la Gazzetta dello sport, il rivoluzionario giornale che parla solo di giochi e tempo libero, uscita due giorni la settimana, lunedì e venerdì, tiratura 50mila copie. A dirigerlo c’è uno dei fondatori, Eugenio Camillo Costamagna. L’autorevole personaggio è uno di quei signori della borghesia lombarda che ultimamente amano disintossicarsi e concedersi ozi a Sanremo. Si parla molto, ai tavolini dei caffè. E proprio qui alcuni fanatici della locale squadra ciclistica Audax illustrano al direttore una loro idea folle e temeraria: dopo il Giro di Lombardia, lanciato con successo nell’autunno del 1905, inventarsi anche una gara di primavera, che apra simbolicamente la bella stagione, seguendo idealmente l’itinerario del nuovo turismo mondano. Da Milano a Sanremo: in bicicletta, direttore, belìn pensi che impresa...
Costamagna al momento ci pensa. Ma anch’egli, come tanti all’epoca, è esaltatissimo per le emozioni forti dei moderni motori. Troppo fresco, nella sua testa, il ricordo del raid appena compiuto personalmente fino in Sicilia, per seguire la Targa Florio. Signori, l’idea è buona: da Milano a Sanremo, dalla nebbia allo iodio, dalla penombra al sole, dalla pianura al mare, lungo il classico percorso dell’aristocratico turismo meneghino. Facciamola, questa corsa. Però niente bici. Facciamola in macchina.
C’è poco da discutere. Il direttore, allora come oggi, ha sempre ragione. In un certo senso, nasce la Milano-Sanremo. Due tappe, da Milano ad Acqui, da Acqui a Sanremo. Organizzatore tecnico un redattore della Gazzetta, Armando Courgnet. Nella magica estate 1906, il roboante sogno dei motori a scoppio si materializza in un tripudio di titolazioni. Meno eclatante, meno glorioso, l’andamento della gara. Le macchine patiscono l’impresa. Partite trenta, arrivate due. Le altre, arrosto. I segnali di fumo si alzano qua e là, nel lungo tragitto dell’epica cavalcata. Tecnicamente, una figuraccia biblica. Ride tutta Italia. Ancora ad agosto, in una magica notte di goliardia balneare, i perditempo burloni della Riviera organizzano in onore degli organizzatori lo storico «Concorso della gnerra», festival nazionale del pernacchio. Serata indimenticabile, grande concorso di pubblico e di partecipanti.
Da quella volta, mai più essere umano si azzarderà a proporre la Milano-Sanremo in macchina. Quello che ai motori è proibito, però, continua ad affascinare i fanatici della bicicletta. I tempi sembrano maturi per tornare alla carica. In autunno, inviano a Milano una delegazione di tre prestigiose personalità: il banchiere Rubino, l’ingegner Sghirla e l’avvocato Ameglio. La missione è convincere la Gazzetta a riprovarci in bicicletta. Ma il direttore Costamagna, che ha ancora nelle orecchie il rimbombo del festival d’agosto, stavolta è molto freddo. I tre comprendono che serve qualcosa di più convincente dei loro sogni. Tornati a Sanremo, organizzano una pubblica sottoscrizione. Il risultato, 700 lire, ha il magico potere di levare tutti i dubbi, le perplessità, i risentimenti al direttore Costamagna: la Milano-Sanremo, questa volta per ciclisti, si farà. Appuntamento alla primavera dell’anno dopo. In inverno, bisogna superare non poche difficoltà organizzative. Tra le altre, pagare anticipatamente i biglietti per passare sul ponte di barche del Po, senza obbligare i ciclisti in coda alla cassa.
Domenica 14 aprile 1907, ore 4,30: si radunano gli eroi della prima Milano-Sanremo vera (da allora salterà solo tre edizioni, causa guerre: ’16, ’44, ’45). Già al via si segnala un certo caos: dei 62 iscritti, se ne presentano 33. Gli altri si sono visti spedire dalle proprie squadre lungo il percorso, per fornire assistenza ai compagni. Quando la conta è fatta, è già passata quasi un’ora. La bandiera s’abbassa alle 5,17.
Il resto sta già sulle cronache rosa dello sport. L’italiano più accreditato è Giovanni Gerbi, maglia Bianchi. La prima cosa che fa è andare dal campione francese Lucien Petit-Breton, anch’egli reclutato in inverno dalla Bianchi, con questa proposta: «Ti aiuto e si fa a mezzo il tuo ingaggio». Forte in bicicletta, Gerbi è più forte in economia: a lui la Bianchi ha promesso 2,5 lire al chilometro in caso di vittoria, mentre a Petit-Breton ha garantito 15 lire al chilometro. Su un totale di 288 chilometri, c’è una certa differenza.
Inevitabile l’epilogo. Gerbi va in fuga con Garrigou, della Peugeot. Ma avvicinandosi a Sanremo fa di tutto - le cose più turpi - per rallentarlo e consentire a Petit-Breton di rientrare. Così avviene. Negli ultimi 500 metri, Gerbi perfeziona il suo lavoro chiudendo Garrigou su una cunetta. Petit Breton trionfa e incassa il gruzzolo.


Morale: per la verità, Gerbi viene retrocesso (scorrettezze) al terzo posto. Gli toccano solo 70 lire di premio, ma intasca le 2.145 lire pattuite con il vincitore. Noi, cent’anni dopo, stiamo sempre qui a dirci che lo sport dovrebbe tornare ai valori e al candore delle origini.

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