«A Milano serve la ricetta di Berlino»

Vittorio Emanuele di Savoia, nominato alla nascita principe dell’Impero, era destinato al trono d’Italia, Albania, Libia e Africa Orientale. Gli eventi, come sappiamo, sono andati diversamente. E oggi invece che imperatore è più semplicemente un imprenditore. Ha sposato Marina Ricolfi Doria, da cui ha avuto un figlio, Emanuele Filiberto, prima civilmente a Las Vegas poi religiosamente a Teheran, dopo un lungo e contrastato, dal padre Umberto, fidanzamento. Vive in Svizzera, dove si era trasferito dopo l’esilio imposto anche a lui dalle disposizioni transitorie della Costituzione del 1946, abolite solo nel 2002. Spesso in Italia, recentemente ha visitato a Roma la mostra di Grace Kelly a Palazzo Ruspoli.
Principe se dovesse tornare ad abitare in Italia, quale città sceglierebbe e perché?
«Scelta difficile, in ogni città italiana c’è qualcosa di speciale che mi lega alla sua storia e alla cittadinanza. Napoli, dove sono nato, Roma, storica capitale, sono le città in cui ho legami più forti. Ultimamente mi piacerebbe sistemarmi a Torino, culla di casa Savoia, o Milano. Due città che frequento abitualmente in cui mi sento a casa per i tanti amici».
Abituato a frequentare il jet set internazionale, trova Milano all’altezza di una grande metropoli?
«È certamente la città italiana più internazionale. Lo è sempre stata. Anche prima dell’Unità d’Italia era considerata una delle capitali internazionali della cultura e della ricerca artistica e industriale. Oggi è riconosciuta a livello mondiale per il suo ruolo guida nel design e negli scambi commerciali. La prova è che i maggiori summit tra Paesi stranieri in tema di cooperazione e sviluppo imprenditoriale avvengono qui. Basti pensare che appena pochi giorni fa era presente anche Re Abdullah di Giordania per promuovere i rapporti tra Italia e Giordania».
Lei si sente ben accetto quando viene in Italia?
«Mi sento a casa proprio grazie all’affetto della gente. Gli italiani sono straordinari, un popolo meraviglioso che sa dimostrare il proprio attaccamento anche con critiche, ma senza mai scordare l’affetto».
Ma Letizia Moratti sta lavorando bene per risolvere i problemi di Milano?
«Sicuramente. Credo che il più grande pregio di Milano sia la sua spiccata apertura internazionale che la porta a essere una vera metropoli. Milano è capace di tenere ben a mente le sue tradizioni e le sue radici, in tutti i campi dalla cultura alla cucina fino ad arrivare all’uso del dialetto, tuttavia fa tutto questo guardando al futuro. I difetti sono quelli delle grandi città, un po’ troppo traffico e inquinamento, ma so che il sindaco Letizia Moratti sta lavorando molto bene per risolvere questi problemi».
Palazzo Reale, il Pac, la Triennale, la Scala, il Piccolo Teatro, Brera, sono istituzioni che rappresentano la cultura nel mondo secondo lei?
«Palazzo Reale, che ospiterà presto la Mostra su Casa Savoia per i 150 anni dell’Unità d’Italia, è uno dei poli museali più importanti d’Europa. La Scala è invidiata da tutto il mondo per la qualità delle sue rappresentazioni. Il Piccolo Teatro è il tempio dedicato al grande Strehler e l’Accademia delle Belle Arti di Brera, premiata nel 2005 dalla Fondazione Principe di Venezia, presieduta da mio figlio, rappresenta l’essenza della ricerca e della tradizione nel mondo delle arti visive. Credo che sia un quadro del tutto positivo! A proposito di cultura vorrei consigliare ai milanesi la mostra a Roma di Grace Kelly a Palazzo Ruspoli: molto ben strutturata in cui si percepisce la straordinaria personalità della Principessa di Monaco. Io e mia moglie eravamo molto amici di Ranieri e della Principessa. Ci mancano molto».
Milano, capitale della moda e dell’abbigliamento. Lei spende molto in vestiti?
«Direi di no, gli abiti formali sono sempre stati realizzati dallo stesso laboratorio sartoriale, da decenni Fornitore della Real Casa. Poi ci sono i capi più informali per i quali seguo i consigli preziosi di mia moglie Marina. In ogni caso, per quanto riguarda l’abbigliamento, non siamo due spendaccioni. Cerchiamo l’equilibrio. Come tutti».
Quali sono i luoghi, locali e ristoranti che amate frequentare quando siete a Milano?
«Amiamo trascorrere le serate con gli amici al “Bolognese”, qualche colazione veloce al “De Milan”, alla “Briciola” o al “Baretto”. Ma capita spesso che cerchiamo le piccole trattorie dove mangiare il riso al salto o la classica “milanese”. Anche la “Bruschetta” è un luogo che frequentiamo spesso. Cerchiamo insomma posti carini ed autentici, senza troppe pretese.
Dopo un fidanzamento durato 13 anni, lei sposò civilmente Marina Doria nel 1970 a Las Vegas e religiosamente l’anno dopo a Teheran con l’aiuto dell’allora Scia di Persia, Reza Pahlavi. Dopo tanti anni insieme come trascorrete le vostre giornate?
«Il nostro matrimonio a Teheran fu un evento straordinario e preparato dallo Scia in ogni dettaglio. Avevamo un rapporto di stretta amicizia e gli sono molto riconoscente per essere sempre stato accanto a me e a Marina. Dopo tanti anni, trascorriamo ancora le giornate insieme, se siamo lontani ci sentiamo molte volte al giorno. Sa, come da ragazzi. Non è poi cambiato molto, gli anni passano, l’amore è sempre forte e la stima aumenta».
Lei che è un cosmopolita: esiste una metropoli che potrebbe rappresentare per Milano un modello nella produzione culturale?
«Berlino è forse la città europea che ha saputo meglio progettare il proprio futuro come capitale internazionale della produzione culturale. Penso che sarebbe un modello applicabile anche a Milano».
Trova che Milano sia una città divisa in classi sociali?
«Milano è decisamente divisa in gruppi sociali. Ma come qualsiasi altra città, anzi molto meno delle altre grandi metropoli. Parigi a esempio è molto più “classista”».
Cosa proporrebbe per rilanciare la città sulla scena internazionale?
«Milano sta già lavorando molto bene per il suo rilancio, ci sono cantieri ovunque per ripulire zone degradate, la città è molto più ospitale e pulita, stanno sorgendo bellissimi edifici dove prima esistevano solo industrie. Tutto questo sarà il biglietto da visita di una città che con l’Expo del 2015 ritroverà la sua meritata leadership mondiale».
Ha seguito il progetto, cosa ne pensa?
«Ritengo sia la chiave di volta per un concreto rilancio. Ci sono personalità di primo piano coinvolte nell’organizzazione del grande evento e riusciranno a creare un evento straordinario. Durante la mia vita in esilio ho sempre lavorato duramente per sostenere lo sviluppo internazionale dell’Italia e delle nostre imprese e sarò felice di mettere a disposizione le mie relazioni anche per la città e l’Expo».


C’è qualcosa nella sua vita di cui si pente?
«Sa, nella vita di errori se ne commettono, siamo umani e non siamo macchine. Avrei voluto essere meno disponibile nei confronti di alcune persone che poi si sono rivelate poco raccomandabili. Sono stato educato ad essere aperto verso il prossimo. Ora però sono molto più attento».

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