Milano - È una secca, rapidissima raffica di spari quella che dilania il sonnacchioso pomeriggio di afa a Chinatown, il quartiere cinese di Milano. Pallottole piccole, calibro 7.65, che finiscono nei muri delle abitazioni, che perforano tre vetture parcheggiate ai bordi della strada, cadendo sull’asfalto. E che infine lasciano a terra due giovani cinesi, immobili, i corpi crivellati di colpi e insanguinati. Mentre, pistole semiautomatiche in pugno, i loro giovani assassini scappano correndo lungo il dedalo di stradine: alcuni testimoni diranno di averli visti più tardi camminare tranquillamente lungo la via Paolo Sarpi, l’arteria principale di questa città nella città.
Hanno tentato inutilmente di fuggire per scampare ai due sicari che avevano teso loro un vero e proprio agguato in un Internet Point di via Aleardi i due amici cinesi di 19 e 20 anni che ieri, qualche minuto prima delle 17.30, sono stati ammazzati a colpi di pistola da due loro connazionali, quasi sicuramente coetanei, all’angolo tra via Messina e via Aristotile Fioravanti, proprio davanti al ristorante sardo «Al vecchio porco» e a due passi dall’hotel «Hermitage». Inseguiti in strada, colpiti alla testa e all’addome, i due cinesi sono stramazzati al suolo mentre cercavano la fuga in preda al terrore. Il 20enne è morto sul colpo; l’altro è spirato una mezz’ora più tardi sul posto, dopo che gli operatori del 118 avevano tentato di rianimarlo. A terra e nelle macchine sono finiti una ventina di bossoli in tutto, ma i carabinieri del comando provinciale alla fine ne conteranno alcuni di più.
«Un’esecuzione in piena regola tra cinesi -. spiegano gli investigatori - Probabilmente uno sgarro maturato nel mondo delle baby gang». In un certo senso un sollievo per chi, nell’immediatezza dei fatti, credeva si trattasse di un duplice omicidio in qualche modo collegato alla rivolta del 12 aprile scorso, quando i cinesi residenti a Chinatown erano scesi in massa in strada per protesta, avevano aggredito i vigili ed erano stati caricati dalla polizia.
Era da un po’che le baby gang cinesi, a Milano, non si facevano sentire con tutta la violenza che le caratterizza. Erano mesi che le forze dell’ordine non si occupavano di questi figli agiati e annoiati di immigrati arricchitisi con il commercio e la ristorazione. Un tempo che ieri, sull’asfalto di via Messina, sembrava non essere mai trascorso. La storia di queste due ultime e giovani vittime, finite nell’orbita di chissà quale regolamento di conti, infatti, sembra una fotocopia di tanti altri omicidi di questo tipo. I ragazzi uccisi sono incensurati, nati a Milano, parlavano bene l’italiano. «Il più giovane lavorava in un ristorante e, al momento dell’agguato, era in pausa pranzo. Lo abbiamo identificato subito, grazie alla patente -. spiegano i carabinieri - L’altro, quello che è morto sul colpo, è stato identificato più tardi dai suoi parenti che, avvertiti dell’accaduto, sono giunti sul posto. Dovevano essere amici di vecchia data: nelle tasche di uno di loro abbiamo trovato una foto che li ritrae insieme. Entrambi avevano dei tatuaggi, forse riconducibili a quelli identificativi che portano le baby gang: una tigre e un millepiedi».
E i killer? Anche loro sono stati descritti come due giovani normali, uno indossava una camicia bianca, l’altro una maglietta a righe.
Ma chi sono questi baby criminali che ingoiano ecstasy e sniffano chetamina, un analgesico per cavalli? Hanno tra 14 e 20 anni e sono originari della città di Wencheng, nello Zhejiang meridionale, sud della Cina. Sarebbero adolescenti come gli altri se non facessero rapine, estorsioni, omicidi, preferibilmente a colpi di accetta.
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