Milano«Qualcuno ha aperto i cancelli dello zoo e sono usciti tutti»: così, una manciata di giorni fa, Sergio Marchionne aveva sintetizzato la sua impressione sul clima di violenza in Italia. E ora si scopre che probabilmente Marchionne sapeva qualcosa di preciso, e che lo riguardava personalmente. Proprio intorno allamministratore delegato di Fiat si erano concentrati, appena prima di quella dichiarazione pubblica, una serie di segnali di allarme. La sicurezza del manager italo-canadese è, da circa una settimana, al centro di preoccupazioni crescenti. E lo stesso accade al presidente di Fiat, John Elkann. Nei confronti di entrambi, i dispositivi di tutela sono stati rafforzati. Uomini in più, e soprattutto indicazioni operative più stringenti, quelle che scattano quando il rischio viene considerato elevato.
Oggi, si può dirlo, Sergio Marchionne vive blindato. Chi lo conosce bene, sa quanto allamministratore di Fiat una condizione simile possa pesare. Mai, né in Canada né in Svizzera, aveva dovuto rinunciare alla sua libertà di movimenti. Da quando è arrivato in Italia, le cose hanno iniziato a cambiare. E da quando ha lanciato la sua proposta di rivoluzione delle relazioni sindacali, a partire dellaccordo separato di Pomigliano dArco, la sua vita è diventata quella di un obiettivo sensibile. Anche da questo, anche da una sofferenza personale, nasce verosimilmente lo sfogo di Marchionne il 2 ottobre a Firenze, allassemblea dei Cavalieri del Lavoro, quando parla dello zoo cui sono state aperte le porte: «Gli episodi di violenza che si sono verificati in questi giorni vanno condannati con fermezza. Dobbiamo prendere le distanze, tutti quanti, da una cultura disastrosa che alza la tensione sociale e nega il dialogo».
Cerano state le minacce a Pietro Ichino, i fumogeni contro Raffaele Bonanni, i vandalismi contro le sedi dei sindacati «morbidi». Ma cerano stati anche segnali precisi contro di lui. Non solo le scritte sui muri, il «Marchionne infame» comparso sulla concessionaria Fiat di Napoli, e doppiato ieri dal «Marchionne sfruttatore, Bonanni e Angeletti servi dei padroni» a caratteri cubitali, vicino a un centro sociale dellarea antagonista milanese: messaggi sgradevoli, ma tutto sommato da mettere in preventivo, e non più di tanto allarmanti. Ma cerano stati anche segnali meno visibili e più inquietanti. Sono stati questi a fare salire le misure di sicurezza intorno a Sergio Marchionne.
Lapparato che protegge lincolumità del top manager di corso Marconi è un apparato complesso. La prima sicurezza è affidata agli uomini di Sirio, la struttura che si occupa di tutelare la sicurezza Fiat in ogni suo aspetto. Alla testa di Sirio siede da anni un generale dellArma dei carabinieri, Augusto Ambroso. E alle sue dipendenze lavorano numerosi ex ufficiali delle forze di polizia: tra gli ultimi acquisti cè stato Filippo Ricciarelli, il colonnello dei carabinieri che a Genova arrestò il serial killer Donato Bilancia, e che è transitato armi e bagagli in corso Marconi. È un reparto della struttura comandata dal generale Ambroso a occuparsi direttamente della incolumità di Marchionne. Ma in appoggio agli uomini di Sirio ci sono ovviamente i bodyguard dello Stato, quelli assegnati a Marchionne dal prefetto di Torino, Alberto Di Pace.
È questo apparato «misto» a dover mettere in pratica in questi giorni lordine di massima allerta. Tutti gli spostamenti di Marchionne vengono preceduti da analisi e bonifiche dei luoghi di destinazione. Un dettaglio curioso: il miglior test disponibile sullefficacia del dispositivo lo aveva fornito involontariamente Valerio Staffelli, linviato di Striscia la Notizia che il 16 settembre aveva cercato di consegnare a Marchionne un tapiro doro.
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