«Milano vuole l’Olimpiade? E allora si dia una mossa»

«Milano vuole l’Olimpiade?  E allora si dia una mossa»

Claudio De Carli

Quando l’assessore allo sport Aldo Brandirali ha annunciato che avrebbe realizzato un dossier sullo stato dell’arte degli impianti sportivi milanesi, in tanti hanno pensato: be’, saranno un paio di fogli pinzati.
La città che si catapulta in un’ipotesi di candidatura olimpica è in uno stato di profonda depressione impiantistica e non si vedono varchi per uscirne a testa alta. Dove punti il dito trovi magagne.
L’8 giugno 1919 trentunmila spettatori sono lì ammassati nella mitica Arena per vedere un incontro improponibile di pallacesto fra gli Aviatori della Compagnia della Malpensa e quelli dell’Automobilistica di Monza. Poco più di ottant’anni dopo il tempio del basket è il Palalido ma l’Armani Jeans, seconda nell’ultimo campionato, è costretta a emigrare al Forum di Assago perchè nell’impianto di Piazza Stuparich tutti i tifosi non ci stanno. L’altrettanto mitico impianto del ghiaccio di via Piranesi non esiste più e anche i Vipers, quattro campionati vinti consecutivamente, sono rimasti incerti fino all’ultimo prima di decidere se risistemarsi nel catino dell’Agorà di via dei Ciclamini. In 4.500 metri quadrati di ghiaccio si allenano e disputano le loro gare gli hockeisti, quelli del pattinaggio artistico, del sincronizzato, di danza singola e di coppia. Poi ci sono quelli dello short track, oltre ai corsi di avviamento e collettivi. Lame a manetta, un bel traffico, c’era un’idea di alternativa al Saini ma chi ha voglia di ridere può andare a vedere in quali condizioni si trovi la pista del ghiaccio o il disastro botanico che ha preso il suo posto. Per trovare qualcosa che faccia il paio con l’Agorà occorre andare un po’ fuori, tipo il Palazzo del ghiaccio di Sesto San Giovanni dove ci sono perfino tre campi permanenti di curling e una discoteca sul ghiaccio. Il Palasesto non è esattamente in città, ma se il conteggio fosse rigido rimarrebbero fuori alcuni veri gioiellini come il Forum, il Brianteo, il bacino artificiale dell’Idroscalo e il golf di Monza. Il tentativo lodevole dell’assessore di smuovere la coscienza di qualcuno e affiancare il livello sportivo di cui è capace Milano, ai suoi impianti, è francamente improponibile. Difficile affidarsi unicamente alla storica laboriosità della città, alcuni impianti gridano vendetta, il Vigorelli, l’Arena, la Cozzi, il Kennedy, vivono di leggenda e alcuni ci sono rimasti seppelliti sotto. C’è da lavorare tanto e Brandirali non illude nessuno, mette in fila le sue macerie, di qualcuna riesce perfino a trovarne i pregi, ma il suo elenco appare un lamento assieme a una richiesta di adunata generale: grande richiesta di impianti, poche e scomode strutture come risposta, difficile fare l’assessore in questi condizioni.
Chiamato a rispondere sulla situazione impianti, Brandirali non si è nascosto: «La nostra città al momento è carente per buona parte di arene e stadi necessari per pensare a una Olimpiade. Ma proprio per questa ragione - ha aggiunto -, un simile obiettivo ha tutte le prerogative per mettere in moto un grande piano di investimenti». Ha pensato a un villaggio dello sport, un’idea uscita prima ancora che si parlasse di Giochi e candidature. L’area sarebbe quella di Rogoredo, tre milioni di metri quadrati acquistati dal Comune.

Questo progetto porterebbe a un complesso impiantistico in grado di risolvere molte carenze, ma anche in questo l’assessore sembra il solo a crederci.

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