Gli anni in cui l'arte moderna era uno sketch su «Carosello»

In mostra al Museo del Novecento tele, ricordi e riviste sui grandi della pittura come star dello spettacolo

Luigi Mascheroni

Ci fu un tempo in cui Lucio Fontana, oggi quotato fino a 20 milioni di euro e oltre, era solo «quello dei buchi». Un tempo in cui alla Biennale di Venezia il faccione perplesso di Alberto Sordi - vent'anni prima delle sue «vacanze intelligenti» - sbucava dal Nudo in gesso di Alberto Viani e pare chiedersi «Ma che vor dì?». Un tempo in cui Peggy Guggenheim era un'icona, soprattutto per chi la sua collezione non l'aveva mai vista. Un tempo in cui poteva capitare che tra le réclame di Carosello spuntassero Guttuso, Cagli o Capogrossi per venderti qualcosa. Un tempo in cui la gente che comprava Gente conosceva Gianni Dova e Pietro Annigoni, e qualcuno addirittura li comprava. Ora, chi se li ricorda più?

Ci fu un tempo, fra gli anni Cinquanta e Sessanta, in cui le riviste ad alta tiratura e le trasmissioni in prima serata di mamma Rai resero l'arte - una certa arte - popolarissima. E tanti, tantissimi, pur non potendosela permettere, e spesso capendola pochissimo, la seguivano con curiosità, con divertimento, con l'ambizione di frequentare atelier e vernissage. «Hai letto della nuova modella di Picasso... Dicono sia bellissima. Sarà l'amante...». «Ma l'hai visto ieri sera Lascia o raddoppia? Da Mike c'era quel pittore famoso... De Chirico... Ha detto che i quadri contemporanei non li capisce nessuno, neppure chi li fa... Finalmente uno che dice le cose come stanno!?». «Hai saputo? La Lollobrigida s'è data alla scultura...». Quando il mondo dell'arte era di moda. E l'arte fece Boom...

Si intitola «BOOM 60! Era arte moderna», ed è una mostra (aperta al Museo del Novecento, fino al 12 marzo 2017) che racconta come negli anni del boom economico, delle ambizioni culturali e dei mutamenti sociali, l'arte contemporanea entrò nel tinello degli italiani attraverso i settimanali e i mensili d'attualità illustrata. Che belli che erano i rotocalchi... Grandi foto, grandi nomi, grandi sogni. E così, in quattro diversi spazi ritagliati dentro l'Arengario, lungo quattro sezioni principali (Grandi mostre e polemiche, Artisti in rotocalco, Artisti e divi e Mercato e collezionisti), attraverso 140 opere e decine di riviste sotto teca (da Epoca a L'Espresso, da Oggi a L'Europeo, da Lo Specchio a Panorama), sfila via un «come eravamo» della bassa e grassa borghesia, soprattutto milanese, all'inseguimento - dopo il frigorifero, il televisore e la Vespa - anche di una riproduzione di un Monet, regalata dalla Domenica del Corriere, da incorniciare sopra il divano del salotto. Muse, Guttuso e sofà.

La mostra è originale, divertente, espone artisti e «pezzi» superati dal tempo e dalla critica (chi si ricordava che Tony Dallara era anche pittore, amico di Baj, Brindisi e Fontana, o che i ritratti di Annigoni erano così brutti?) ed è perfetta nel riflettere anche se qualcuno ha criticato l'allestimento di Alessandro Mendini che appende i quadri a pareti di specchio gusti e disgusti, innamoramenti e imbarazzi, incomprensioni e mode dell'Italietta popolare anni Sessanta, un (Bel) Paese alle prese con una nuova arte, nuove immagini, nuove figurazioni, e un nuovo immaginario. Nello stesso tempo colto e pop. Un'Italia che già scorre dentro i canali della comunicazione di massa e che non vuole perdere il passo. Che tratta gli artisti alla stregua dei divi del cinema, che si innamora di un pittore «così naïf» come Ligabue, che considera la Biennale (Epoca, in un reportage del 1964) un magazzino di cianfrusaglie e la Triennale di Milano un «luna park» per intellettuali... Quando le correnti neoastrattiste, concettuali, poveriste e iperrealiste venivano condannate da una buona parte della critica nostrana - quella più popolare, appunto - come troppo lontane dal gusto del cittadino medio. È un'Italia tagliata in due, come una tela di Fontana. Da una parte accade che i sacchi di Burri e i décollages di Rotella (per non dire dei «rottami» di Ettore Colla) diventino, con sarcasmo, cose «che sapevo fare anch'io». Dall'altra succede che il «principe pittore» Enrico d'Assia sia più conosciuto del presidente del Consiglio in carica, o che «divine» come la Magnani e la Fracci frequentino gli studi dei pittori (in mostra, per dire, ci sono quattro ritratti di quattro artisti diversi della «Lollo») o star come Sofia Loren e Monica Vitti mentre impiegati di banca collezionano l'arte a fascicoli dei Fratelli Fabbri editore e acquistano quadri a rate si facciano fotografare nelle loro case da rivista grondanti collezioni d'arte contemporanea.

Intanto, i lettori di Gente (e i critici d'arte che ci scrivono) si chiedono come sia possibile che tele imbrattate, ferraglie rugginose e legni bruciacchiati possano essere contrabbandati come capolavori... E la chiamavano arte moderna.

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