«Di tutte quelle case non è rimasto che qualche brandello di muro». Una fila di mattoni rossi che ipotizza un semicerchio. E un nome che non è un nome. Perché la conca, laggiù, non l'ha mai vista nessuno. Benché oggi, forse, sia più giustificata dell'altroieri. Nasconde misteri che i secoli hanno custodito gelosamente. Nelle viscere di un rudere in piazza Missori. Ombra di un se stesso che fu. Fatto di storia. E storie di cani che un tempo erano di casa. Cani in chiesa. Casa dei cani.
Se ne contarono fino a cinquemila, che non è un numero a caso. A raccoglierli fu il signore di allora, Bernabò Visconti, uomo bello e intelligente, ma con due passioni. Le donne e Fido. Le femmine sollazzavano il suo piacere, gli animali erano amici e compagni di caccia. I cinghiali infestavano la periferia della città. In quel XIV secolo. E lui li detestava. Amava i cani più delle fanciulle e puniva senza pietà chi faceva loro del male. Tuttavia, non potendone tenere così tanti a palazzo, decise di darli in affido ai cittadini. A patti chiari, però. I padroni in sua vece dovevano presentarsi periodicamente. E dimostrare che il cucciolo era tutt'altro che denutrito, bensì vispo e in buona salute.
Le pene erano severissime. E il tormento di recarsi alla Cà di can era un pedaggio temuto. Peggiore delle tasse. Così quell'insolito pellegrinaggio divenne proverbiale. Obbligo non aggirabile. E sgradito. Ma di maltrattamenti a quattro zampe non si sentì mai pettegolezzo. Solo chi ha incontrato lo sguardo di un cane può davvero comprendere il senso dell'amore. Bernabò lo incrociò tante volte, ma non capì mai nulla. Ordì una congiura ai danni dello zio Luchino che scoprì la tresca e si salvò. I nipotini che ne vollero la morte non lasciarono tracce e sul patibolo finì il solito utile idiota. Francesco Pusterla. Uno che con la nobiltà c'entrava zero. Il perfido rampollo tuttavia non si rassegnò. E in quella casa mise piede alla morte naturale di zio Luchino. Era il 1349. Non pago, associò anche l'attigua chiesa.
San Giovanni in conca era in piedi dal V secolo. E aveva già una bella età quando giunse Bernabò. Non conobbe Attila e le sue distruzioni perché sorse poco dopo. Ma finì nella furia del Barbarossa. Di impianto paleocristiano come San Simpliciano e San Nazaro, era in posizione strategica. Al termine del decumano che collegava il cuore di Mediolanum con Roma - l'attuale corso di Porta Romana - affacciata verso il Foro, cioé l'odierna piazza del Santo Sepolcro. Era un'area cimiteriale, non residenziale, cui l'avvenire avrebbe riservato un destino diversificato. Il quartiere del signore. Il rione del piacere. La zona degli affari.
La basilica - un'unica navata lunga 53 metri e un campanile alto 24 - fu consacrata all'Evangelista, ma che cosa fosse quella conca resta uno dei misteri che le ruspe hanno travolto. Senza svelarlo. Ad aiutare l'interpretazione è il vescovo di Genova. Il beato Jacopo da Varazze, sepolto nella cattedrale della cittadina ligure. Nella Legenda aurea spiega il martirio del santo, immerso nell'olio bollente e salvo per intervento divino, che fece piovere su quella bagnarola. Il frigore piovano evitò le ustioni e il martirologio diradò i dubbi sulle cause che spinsero san Giovanni in quella conca.
I profani invece l'attribuiscono a un avvallamento del terreno in un tratto che progressivamente si abbassava, morendo in via Laghetto. Dove appunto stava uno specchio d'acqua. E dove arrivavano i barconi con il marmo per il Duomo. Nessuno notò mai il dislivello, ma sotto la chiesa si nascondeva un tesoro. A tutt'oggi intatto. La cripta. Una delle pochissime a Milano. Anteriore alla basilica stessa. Un mitreo, si disse, per via di un busto regale ritrovato sotto le colonne oltre agli affreschi di un eroe che sconfigge un toro. Iconografia di Mitra, divinità persiana che conquistò anche i cuori romani. E si lasciava adorare in caverne o nel sottosuolo.
Davanti al dio pagano, Bernabò alzò spallucce e trasformò quella cripta nel suo mausoleo. Diede ordine a Bonino da Campione di scolpire una statua sul suo sarcofago e lo stesso fece con i maestri campionesi per la sepoltura di Regina della Scala. Sua moglie. Sorella di Cangrande, signore di Verona e Vicenza, erede di celebre schiatta, in onore della quale venne eretta la chiesa di Santa Maria alla Scala e, sulle sue ceneri, il teatro più famoso del mondo. La donna gli diede quindici figli. Altrettanti sembra ne avesse avuti per via. Randagi come i cani che adorava.
Il tramonto dei Visconti segnò il declino di San Giovanni in conca che nel Cinquecento fu associata al convento dei Carmelitani scalzi, ma nella cripta continuava a custodire i due celebri sposi. Uno rappresentato in assetto di compattimento, l'altra adornata da scene della pietà, di san Luca e ovviamente dell'evangelista. Nel 1782 l'illuminato Giuseppe II soppresse gli ordini clericali e il dominio francese ridusse la basilica a un deposito di armi.
Era cambiato anche il tessuto cittadino. Contrada del Bottonuto, l'isolato a ridosso dell'ex chiesa, raccoglieva la feccia. Trani. Donne di malaffare. E postriboli. A fine '800 fu deciso di ripulirlo e, a livello di desiderio, iniziava a farsi strada quella che oggi è piazza Diaz. La risistemazione coinvolgeva corso Carlo Alberto - l'attuale via Albricci - e san Giovanni in conca. Condannata a morte. Il campanile divenne un osservatorio meteorologico. L'edificio fu venduto ai valdesi.
Ringhia Milano, quando la fanno a pezzi. Si ribella. Rinasce. E fa rispuntare altrove, sfacciata e beffarda, le vittime dell'urbanista. L'ex basilica è viva, per chi non lo sapesse. E ha figli ovunque. Un po' come Bernabò. La facciata fa ancora bella mostra di se. È quella del tempio riformato che si affaccia su via Francesco Sforza. Ironia di una storia viscontea. Gli affreschi che la abbellivano - soprattutto l'Annunciazione - sono al Castello. Sforzesco anch'esso.
E le ruspe del dopoguerra, tra il '48 e il '52, distrussero tutto. Partendo dalla torre campanaria per finire con la chiesa. Aprirono piazza Missori. Crearono nuovi assi viari per un traffico ambizioso. Partorirono un quartiere consegnato agli uffici. E agli affari. Cestinarono progetti devastanti. Fortunatamente. Sopravvive la cripta, che non ha temuto l'assedio della linea gialla del metrò. E se ne sta rincattucciata in conca. Laggiù. Interrata. Ma così visibile. Sotto un brandello di muro.
La volta e un colonnato. Dopo numerosi e attenti restauri, la cripta di San Giovanni in conca è perfettamente conservata e visitabile, con ingresso libero, per merito dei volontari del Touring Club.
I monumenti funebri di Bernabò e di Regina della Scala sono stati trasferiti al Castello dove sono visibili nella loro integrità. Le salme del signore di Milano e della consorte sono state trasferite e tumulate nella vicina chiesa di sant'Alessandro che dà le spalle a pizza Missori.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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