Fiammingo sì, ma non algido: Pietro Paolo Rubens fu il più «italiano», sanguigno e solare al tempo stesso, dei pittori di Anversa. Ce lo racconta, vantando confronti inediti ma documentati, la grande mostra che apre i battenti da domani a Palazzo Reale. Presenta a Milano un Rubens diverso, che abbiamo imparato ad assaporare già lo scorso anno, sotto Natale, con l'esposizione in sala Alessi di Palazzo Marino dell' «Adorazione dei pastori» di Fermo.
In «Pietro Paolo Rubens e la nascita del Barocco» (fino al 26 febbraio, catalogo edito da Marsilio), prodotta dal comune e Civita Mostre, scopriamo l'anima latina del pittore (1577-1640) nato in Westfalia e figlio di un avvocato, nutrito a ottimi studi e rigorosa educazione e poi divenuto ambasciatore capace in Spagna e in Inghilterra. Possibile che tal noiosa biografia nasconda dei guizzi? Basta guardare le opere di Rubens e lasciarsi stupire.
Proviamo a varcare la soglia del piano nobile di Palazzo Reale dove Corrado Anselmi ha allestito per l'occasione delle vere e proprie quinte teatrali sui toni del blu argentato e del rosso ruggine per far rifulgere ancora meglio la pittura del maestro. Incontriamo subito un autoritratto e poi, in un percorso costruito su 72 opere, 40 delle quali firmate da Rubens, ben si dipana il doppio filo che lega il fiammingo al nostro Paese. L'idea della curatrice Anna Lo Bianco, supportata da tre anni di studi e non poche fatiche per ottenere prestiti notevoli dal Prado, dall'Hermitage e soprattutto dalla Gemäldegalerie di Berlino oltre che dai Capitolini e Galleria Borghese, è quella «di dimostrare quanto l'Italia abbia contribuito alle invenzioni più ardite e personali di Rubens, facendolo a sua volta diventare uno stimolo per il Barocco nascente nel nostro Paese, quello dei vari Bernini, Pietro da Cortona, Luca Giordano».
Il Rubens «italiano» della mostra a Palazzo Reale è quello che in Italia soggiorna, poco più che ventenne, dal 1600 al 1608: a Firenze vede i lavori di Michelangelo, a Roma quelli di Raffaello e degli antichi, a Mantova, dov'è chiamato quale pittore per il duca, ammira Giulio Romano, a Venezia è stregato dal colore e dalla luce di Tiziano e di Tintoretto. È il contatto diretto con l'arte classica e con quella rinascimentale a cambiare lo stile, inizialmente così freddo e preciso, del fiammingo: «La sua è un'arte piena di gioia e di emozione. La natura che dipinge è radiosa e ogni tavola dimostra il suo amore per la vita», ci spiega Anna Lo Bianco. Il viaggio in Italia rende la pittura di Rubens da lineare a esplosiva: escono capolavori quali «La cattura di Sansone» o «Ganimede e l'Aquila» per non parlare del monumentale «La scoperta di Erittonio fanciullo», prezioso prestito da Palazzo Liechtenstein di Vienna.
La mostra si apre su un felice accostamento tra il delicato, affettuoso «Ritratto della figlia Clara Serena» di Rubens e il «Ritratto di giovinetto» del Bernini, piccolo ma intenso lavoro su tela del noto scultore: incrociando la grazia fiamminga con il realismo classico è nata la pittura del sentimento che dominerà tutto il Seicento italiano.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.