Consola poco sapere che muore giovane chi è caro agli dei, pensando a quanto prematura e crudele sia stata la morte di Marzio Tremaglia (nella foto con il padre Mirko e Giorgio Almirante) quel 22 aprile 2000. Non solo, anche se innanzitutto, per la sua famiglia, ma per l'intero nostro Paese e per quel mondo della destra (o delle destre) che con lui in vita avrebbe imboccato sentieri ben più luminosi di quelli intravvisti dallo sciagurato Gianfranco Fini e dai suoi sciagurati colonnelli. Perché Tremaglia, che del padre Mirko portava l'orgoglio oltre che il nome, le doti da leader difese da una così solida corazza di idee, le aveva già mostrate da assessore in Regione Lombardia. Alla Trasparenza e alla Cultura, i suoi modi di essere prima ancora che deleghe in giunta. Il Dna di una destra del pensiero e del cuore, raccontata in Ripensare la cultura. Cinque anni di novità in Lombardia (1995-2000), edito da Mazzotta a poche settimane dalla morte a soli 42 anni. Altri tempi e altra politica.
Ma (grazie a Dio) proprio ieri la Regione gli ha intitolato il Centro bibliografico e di documentazione di Palazzo Lombardia alla presenza dei familiari, del vicepresidente del Senato Ignazio La Russa e degli assessori Riccardo De Corato, Lara Magoni e Stefano Bruno Galli.
«Un riconoscimento che onora il suo amore per il pensiero che si fa azione, il suo impegno per la cultura come fonte di identità e progresso», le parole del figlio Andrea che con l'appassionato impegno in politica, oggi a sostegno della candidatura di Giacomo Stucchi come capolista di Fratelli d'Italia a Bergamo tiene viva l'eredità di papà. Marzio Tremaglia.
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