Non ci sono prove di un legame tra il racket delle occupazioni abusive nelle case popolari e organizzazioni mafiose come la 'ndrangheta. Finora. La presenza della commissione parlamentare antimafia a Milano serve per «accendere anche questa luce, non per cercare la mafia dove non c'è ma per non sottovalutare il rischio infiltrazioni», ha detto la presidente Rosy Bindi. Quel che è certo, invece, è un alto tasso di criminalità nei quartieri popolari, che «va considerato una priorità almeno quanto le stesse occupazioni», ha spiegato Franco Mirabelli, membro Pd della Commissione in visita ieri a Milano assieme alla Presidente Bindi e al vicepresidente in quota M5S Luigi Saetta. Obiettivo: dare un segnale rispetto ai problemi di chi da anni è in attesa di un alloggio, ma anche rispetto alla qualità della vita di chi in una casa popolare già ci vive. Un punto, questo, sul quale Mirabelli ha molto insistito: non bisogna sottovalutare le vessazioni subìte da chi vive in alloggi popolari da parte di coloro che gestiscono il racket, «i quali molto spesso sono assegnatari delle case, non occupanti abusivi». L'illegalità che arriva da chi sembra avere tutte le carte in regola. Chi gestisce il racket alla fine «rende impossibile la vita alle persone per bene, bisogna evitare che queste si sentano abbandonate, non può passare l'idea che esistano zone franche al di fuori dello Stato e delle forze dell'ordine».
«Condividiamo il richiamo fatto dal Prefetto di considerare quello delle occupazioni abusive un problema innanzitutto sociale e non di ordine pubblico», hanno invece messo nero su bianco i sindacati degli inquilini - in una nota congiunta che li raggruppa tutti, dal Sunia al Sicet passando per Unione inquilini, Conia e Uniat - dopo l'incontro a porte chiuse con i tre membri della Commissione, l'assessore Granelli alla Sicurezza, il prefetto Tronca e il commissario unico di Expo Giuseppe Sala. Il riferimento è alla gestione dei famosi 10mila alloggi sfitti, «il vero scandalo», dicono, che ora, secondo il piano operativo firmato lo scorso 18 novembre, le istituzioni dovrebbero impegnarsi a recuperare e utilizzare.
L'altro fronte, naturale, non poteva che essere l'Expo. «Finora ci sono state 61 interdittive, che hanno riguardato pe rlo più aziende impegnate sulle cosiddette opere conesse», ha detto Bindi, sottolineando che il numero è spia di «una vigilanza forte», che al contempo non ferma i lavori, «perché la legalità viaggia assieme all'efficienza». Dalle audizioni della commissione parlamentare antimafia sono emersi anche due casi di aziende escluse dalle opere di Expo 2015 che poi avevano tentato di infiltrarsi nei lavori di costruzione dei padiglioni dei Paesi esteri.
Usciti dalla porta, hanno tentato di rientrare dalla finestra, ha detto Bindi, ma sono stati fermati grazie al monitoraggio sulle liste delle imprese che lavorano ai vari padiglioni, un meccanismo che secondo la presidente della Commissione antimafia «è corretto e sta dando risultati».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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