Boni indagato da 500 giorni Ma la giustizia lumaca tace

Boni indagato da 500 giorni Ma la giustizia lumaca tace

La Guardia di finanza bussò alla porta di Davide Boni, presidente del consiglio regionale, la mattina del 6 marzo 2012. In mano le fiamme gialle avevano un avviso di garanzia e un decreto di perquisizione. Prima dell'ora di pranzo, la bufera che aveva investito l'esponente leghista era già su tutti i siti di informazione. Accuse pesanti: corruzione per un milione di euro. Pochi giorni dopo divennero di dominio pubblico anche i verbali del grande accusatore di Boni, il faccendiere Michele Ugliola, che con le sue dichiarazioni aveva accompagnato i pm fin sul gradino più alto dell'aula del Pirellone. E i guai giudiziari per la maggioranza che governava la Lombardia si arricchirono di un nuovo tassello.
Sono passati cinquecento giorni. E l'inchiesta su Boni che fine ha fatto? É lì, sul tavolo dei pubblici ministeri che l'hanno avviata e condotta. Non è stata chiusa in nessun modo: né con la richiesta di archiviazione, né con quella di rinvio a giudizio. Ma non va neppure avanti. L'inchiesta è ferma perché anche l'ultima proroga delle indagini è trascorsa senza che la Procura tirasse le fila dell'inchiesta. Non si possono fare altri accertamenti, perché sarebbero nulli. E di fatto l'indagine sembra entrata in una sorta di limbo, da cui prima o poi riemergerà per concludersi in un modo o nell'altro. Ma nel frattempo ai cittadini lombardi resta la curiosità di sapere se davvero a presiedere il consiglio regionale era un poco di buono. Mentre a Boni - che in seguito all'avviso di garanzia si dimise, non è stato ricandidato dal Carroccio ed è sparito dalla vita politica - non resta altro da fare che mettersi l'anima in pace ed aspettare.
Il lato positivo è che il pm Paolo Filippini e il suo capo, il procuratore aggiunto Alfredo Robledo, avevano deciso di condurre l'inchiesta senza ricorrere alle manette. Boni e il capo della sua segreteria Dario Ghezzi sono rimasti sempre a piede libero, nonostante la gravità delle accuse lanciate da Ugliola contro di loro e contro l'immobiliarista Luigi Zunino. Segno che neanche i pm prendevano per oro colato le dichiarazioni del faccendiere.
Infatti nell'autunno scorso si decise di ricorrere a un cosiddetto «incidente probatorio», cioè di interrogare Ugliola e suo cognato Gilberto Leuci alla presenza di giudice, pm e difensori, in modo tale da verificare tutti insieme la solidità delle sue accuse. E i dubbi si rafforzarono: perchè Ugliola ribadì le sue accuse sulle stecche destinate a Boni, quando era assessore regionale all'Urbanistica, ma chiamato a spiegare quali pratiche edilizi andassero oliate con quelle tangenti rimase sul vago, o indicò pratiche che in Regione non risultavano mai arrivate.


Di questa lacuna investigativa presero atto anche i pm, che pochi giorni dopo l'incidente probatorio chiesero una proroga di altri sei mesi delle indagini preliminari motivandola proprio con la necessità di individuare e interrogare tecnici e funzionari in grado di individuare le pratiche. Da allora, più nulla.

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