Come un mantra gli investigatori continuano a ripetere che «è ancora presto per fare delle ipotesi», anche se non nascondono come, per trovare gli esecutori dell'ultimo delitto di Quarto Oggiaro, non si debba poi andare molto lontano da quartiere. Il luogo scelto per l'agguato è «tipico» dei balordi della zona mentre le modalità dell'esecuzione dimostrano una certa «manualità» degli assassini. E anche una certa sicurezza. Non si uccide a caso un Tatone, senza mettere in conto di andare a cozzare contro una famiglia che, pur se decaduta, rappresenta sempre l'aristocrazia del crimine. Intanto domani verrà effettuata l'autopsia che insieme all'esame dei tabulati telefonici potrebbe fornire i primi punti fermi all'inchiesta.
Intanto il giorno dopo, anche per un quartiere disgraziato come Quarto Oggiaro, c'è spazio per la pietà. A pochi metri da dove sono caduti Emanuele Tatone, 51 anni, e l'amico Paolo Simone, 54, sono apparsi fiori e bigliettini, perché anche i balordi hanno compagne e figli che li piangono, a dispetto della vita consumata tra violenze, delitti e droga. Tatone, figlio di Rosa, detta «nonna eroina», e fratello di Pasquale, Mario, Nicola e Adelina, negli anni '80 e '90 aveva fatto il bello e cattivo tempo in Quarto Oggiaro, sempre pronto a menare le mani o, peggio, a sparare. Per anni la famiglia aveva controllato lo spaccio nel quartiere poi, cambiata la geografia del crimine, era caduta in disgrazia. Per «Lele» poi si era trattato di un tracollo: la droga oltre che venderla l'aveva consumata. E la droga aveva consumato lui: pieno di tutte quelle patologie legate al consumo di stupefacenti, era diventato una larva, il volto scavato, gli occhi allucinati.
Nessuno gli dava più retta, era stato anche sfrattato da una casa popolare e lui, prima di tornare banalmente dalla «mamma» in via Lopez 8, aveva vissuto in una tenda. L'unico che ancora gli dava credito, Paolo Simone,era messo peggio di lui. Una famiglia a modo alle spalle, aveva anche ereditato un casa alla Comasina in via Valbando 9. Undici anni fa aveva fatto un figlio con un'altra disperata come lui, ragazzo poi affidato ai nonni materni perché la mamma, che ancora ciondola per la Comasina, non era in grado di badare a lui. Anche Simone dopo una vita tra stupefacenti e galera, si era ritrovato con il fisico minato, tanto da girare con la bombola a ossigeno. Il che non gli impediva di fumare come un turco. Insomma volendo rubare un termine alla sociologia, si potrebbe definirli due «sottoproletari del crmine». Difficile anche immaginare chi potesse ancora trafficare con loro.
Domenica mattina Simone saluta la sua attuale compagna, una donna conosciuta in vacanza in Sicilia, esce di casa con la sua Opel Corsa e va a prendere Tatone. Hanno un appuntamento alle 13 in fondo a via Lissone. Credono di discutere di affari, trovano la morte, abbattutti a colpi di pistola. Sembra un revolver, perché a terra non rimangono bossoli. Il lugo scelto però dice molto: non è tanto conosciuto, se non dai balodri della zona. Gli assassini hanno dimostrato «mestiere», hanno tirato alla testa senza lasciare modo di fuggire o abbozzare una reazione. Andando per eliminzione non dovrebbero essere in tanti, pur a Quarto Oggiaro, i soggetti con questi requisiti.
Senza contare che una delle vittime è pur sempre un Tatone e quindi ammazzarlo significa dover fare bene o male i conti con l'intera famiglia. Fuori e vivi, ci sono infatti ancora Mario e Pasquale, mentre Nicola è in galera, dovrebbe uscire nel 2033, e Adelina è morta in carcere.
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