La cannabis a 10 euro nel chiosco del Comune

Nel contratto il permesso per vendere «prodotti non alimentari», ma sul banco c'è marijuana

La cannabis a 10 euro nel chiosco del Comune

In casa del Comune si spaccia: il Comune lo sa e prende pure l’affitto (modesto) dagli spacciatori. E tutto questo diventa lecito o almeno tollerato in un incrocio di norme e di regolamenti di cui la vittima principale è il buonsenso: che dovrebbe impedire che una sostanza che per la legge è droga venga venduta alla luce del sole in uno dei luoghi simbolo della «nuova Milano». Darsena, entrando da piazza Cantore. Si scende verso la passeggiata affacciata direttamente sull’acqua, meta di turisti e adolescenti. Il primo chiosco sulla sinistra è un grazioso manufatto in vetro e ghisa, impiantato in loco nel corso dei lavori che, sotto la giunta Pisapia, misero fine al pluridecennale degrado della zona. Un bene comunale, pagato dai cittadini, alla pari degli altri chioschi e del mercato coperto dove si vende di tutto, dalle biciclette alla carne ai fiori. Ma qui si tratta di cannabis light, la marijuana a basso contenuto di principio attivo che è diventata una delle ultime mode tra i giovani e non solo: il profumo è quello classico della «canna» e lo sballo dopo un po' arriva comunque.

Che la cannabis light sia droga lo ha stabilito l'estate scorsa una sentenza delle sezioni unite della Cassazione: la legge voluta da Renzi nel 2016, si può leggere, consente solo la coltivazione della canapa ma non il commercio delle sue inflorescenze, cioè della marijuana. Vendere la cannabis light significa spacciare droga, dice la suprema corte e i negozietti sono un luogo di spaccio.

Eppure il chioschetto sulla Darsena è ancora lì, con i suoi orari di apertura e le sue offerte speciali, «un grammo a dieci euro». Il contratto d'affitto con l'assessorato al Demanio è regolarmente registrato al modico importo di 3.200 euro all'anno. In Comune spiegano che l'accordo risale al bando per ottanta postazioni «extramercato» varato dalla giunta Pisapia e assegnato al titolare per «vendita di prodotti non alimentari». All'epoca di Pisapia non c'erano ancora la legge Renzi né il boom della cannabis light. Ma il vincitore del bando si è, evidentemente, riconvertito in fretta al nuovo business.

Alcune restrizioni, in teoria, limitano le categorie di merci che si possono vendere nei chioschi sulla pubblica via. Proibito, per esempio, vendere armi, esplosivi e gioielli. Restrizioni ulteriori ci sono per i chioschi nel Municipio 1, ovvero nel centro storico: e la Darsena è proprio sul confine. Insomma, spiegano in Comune, costringere il gestore ad abbassare la saracinesca, esporrebbe il Comune a ricorsi al Tar dall'esito assai incerto.

Ma questo era il quadro prima della sentenza della Cassazione: e già allora, in realtà, sarebbe stato legittimo chiedere al Comune se ritenesse opportuno concedere a pagamento un proprio spazio, peraltro di indubbio prestigio, ad una attività sulla cui utilità sociale ci sarebbe già stato allora molto da discutere. Ora è arrivata la sentenza che chiarisce: la cannabis light è illegale: «La cessione e la vendita dei derivati dalla coltivazione di cannabis sativa quali foglie, inflorescenze, olio, resina, sono condotte che integrano il reato di cui all'articolo 73 (spaccio di droga) anche a fronte di un contenuto di Thc inferiore, salvo che tali derivati siano in concreto privi di ogni efficienza».

Una sentenza chiara, tanto che la Procura ha dovuto (un po' malvolentieri, avendo da affrontare fenomeni di narcotraffico più invasivi) prenderne atto ed applicarla, ogni volta che un negozietto viene denunciato. Palazzo Marino invece tace. Anzi, nei giorni scorsi ha deciso una stretta contro i furgoncini che alla Darsena vendono cibo da strada: ma quello che nel chiosco del Comune vende droga può stare tranquillo.

Luca Fazzo

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