Cronaca locale

Il Caputo che a Milano fece da balia ai liberali

Esperto di esteri, fu eletto a Palazzo Marino e guidò il gruppo in una città che rinasceva

Il Caputo che a Milano fece da balia ai liberali

Un grande viaggiatore, presente nei momenti decisivi. Aveva il rango del fuoriclasse Livio Caputo - scomparso due giorni fa a 87 anni - ma in lui conviveva con l'umiltà e l'apertura verso gli altri. E fu appunto per senso del dovere e per amore delle sue idee che questo giornalista prestigioso, questo raffinato conoscitore del mondo si fermò a Palazzo Marino col compito di allevare un vivaio di giovani liberali, eletti - molti per la prima volta - in una Forza Italia che nel 1997 aveva fatto il botto sfiorando il 30% e portando in Comune un gruppo nutrito e vivace.

«Io ero un liberale coi pantaloncini corti - ricorda Fabrizio De Pasquale, oggi capogruppo di Fi - e Livio era l'unico che parlava, bene, delle politiche di Margaret Thatcher e Ronald Reagan, che allora era obbligo denigrare. Lo avevamo conosciuto come grande firma, senatore e sottosegretario agli Esteri, lo abbiamo ritrovato capogruppo, chiamato a far da balia a un gruppo sterminato, in una situazione subito piuttosto delicata, in cui con la sua saggezza dovette mediare fra Consiglio e sindaco». «Era il primo mandato di Gabriele Albertini, c'erano Lupi, Casero, Scalpelli. Il suo principale interesse restava la politica estera, ma la dimensione internazionale di Milano lo intrigava. Ci insegnò molte cose».

«Era un liberale impegnato in politica - ricorda Bruno Dapei, ex presidente del Consiglio provinciale - faceva vita di partito nel Pli ed ebbe rilevanti incarichi interni. Quando si candidò alle Europee con Fi alla fine non passò per una questione di resti e opzioni, eppure andò avanti e non fece mancare il suo apporto al movimento. Fu una dimostrazione di umiltà e grandezza. A un personaggio del suo spessore poteva andare stretto, ma si mise in gioco e andò a fare da chioccia a quel gruppo».

«Era gruppo molto effervescente - racconta Giulio Gallera - che poi è stato capogruppo, assessore e infine eletto in Regione - Il presidente Berlusconi ci convocò e ci chiese di farci guidare da due personalità di esperienza, erano lui e Massimo De Carolis, che fu presidente del Consiglio. Livio fu acclamato capogruppo e lo restò per un mandato. Con un approccio davvero liberale ci consentiva di fare le nostre battaglie, poi ci guidava con saggezza nel momento delle decisioni importanti. Era autorevole e sobrio. Fece un po' da levatrice. E fu una spalla importante di Albertini. Da lì è nato un rapporto fra noi, che ha consolidato la nostra affinità. Non ha mai fatto pesare il suo spessore, ma ne aveva».

La storia politica di Caputo veniva da lontano. «Nelle prime elezioni interne al Pli a cui ho partecipato - ricorda Andrea Orsini, oggi deputato azzurro - ero candidato in una lista che aveva come capilista Enzo Tortora e Livio Caputo. E nel 1976 passavo le notti ad affiggere i suoi manifesti. Il Pli rischiava di scomparire allora e Livio sapeva benissimo che non sarebbe stato eletto. Ma lui non ha mai sgomitato per fare carriera, è sempre stato discreto. Era coltissimo, nato a Vienna perché il padre, giornalista, era inviato lì. Anche la sua passione era la politica internazionale, lui filoamericano e filoisraeliano, ma quando si trattò di impegnarsi a Milano, forse facendo perfino violenza a se stesso lo fece in modo convinto, occupandosi di problemi amministrativi e tuttavia con una visione molto ampia, volava sempre molto alto».

«Livio conosceva come pochi la politica internazionale, e fra l'altro aveva anche fatto il giro del mondo in barca a vela - ricorda ancora De Pasquale - quindi parliamo di un personaggio davvero dinamico, pieno di risorse di ogni tipo. L'ultima volta che l'ho incontrato è in occasione della celebrazione del trentennale della caduta del Muro, che lui aveva vissuto sul campo da capo degli Esteri. Fece una rievocazione molto bella. Ma lo sentivo spesso, perché curando le lettere capitava che dovesse parlare di Milano, e con grande scrupolo voleva verificare, controllare, che si parlasse di viabilità o di scuole. Una cosa esemplare». «È un pezzo di storia che se ne va - riflette ancora Dapei - Livio era un totem, eppure quando lo chiamavo, lui veniva, partecipava. Negli ultimi tempi aveva questo problema di salute che lo teneva bloccato, usciva sempre meno, e quindi ci vedevamo quando lo andavo a trovare a casa. Un paio di anni fa, a 85 anni, aveva detto sì a un progetto a cui tenevo e tengo molto, una sorta di wikipedia liberale, in forma giornalistica.

Abbiamo registrato la testata, io editore e lui direttore».

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