La vicenda del piccolo Alfie Evans, bambino inglese di 23 mesi affetto da una patologia neurodegenerativa non identificata, sta scuotendo l'opinione pubblica e la mia coscienza. Da consigliere regionale sento, dunque, la necessità di riportare all'attenzione della stampa la pur modesta opinione di un uomo della politica, che prima di tutto però è un uomo, con la sensibilità e il cuore di chi un giorno vorrebbe anche avere la fortuna di diventare padre.
Non è pertanto mia intenzione scatenare una bagarre sulla posizione politica di un partito - che pure rappresento , né tanto meno solleticare la morale di alcuno. Da sempre mi sono espresso a favore di chi, in coscienza e consapevolezza, sceglie di terminare il proprio percorso terreno al limite di una malattia incurabile. Mi corre l'obbligo, tuttavia, di rilevare quanto sia innaturale ed arbitrario che l'autorità giudiziaria si sostituisca alla volontà non espressa di un bimbo; e ancora più grave mi pare che la stessa autorità si sostituisca al volere dei suoi genitori, che fino a prova contraria delle decisioni del bimbo sono responsabili e portavoce fino al compimento della maggiore età. Ad Alfie sono stati sospesi i supporti vitali sulla base di sentenza giudiziaria, contro la volontà di mamma e papà. La sospensione della ventilazione è stata ritenuta dai giudici inglesi la soluzione da adottare nell'«interesse» del paziente, la cui vita è stata definita «futile». Anche a fronte della disponibilità di accogliere il piccolo, manifestata da alcuni ospedali italiani che hanno in trattamento pazienti in condizioni simili, il tribunale inglese si è opposto.
Mi chiedo se non sia il caso di prendere posizione come Paese ed esprimere, a partire dalla propria coscienza, la nostra opinione. Perché se accadesse una cosa del genere a mio figlio, vorrei poter essere libero di decidere come, dove, da chi e quanto a lungo farlo curare.
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