C'erano una volta i paninari E oggi tornano in San Babila

C'erano una volta i paninari. E ci sono ancora. C'erano una volta i paninari che si ritrovavano davanti al fast food di piazza San Babila. E si ritrovano ancora lì. C'erano una volta i paninari scarpe grosse, giacca a vento e berrettina di lana e ancora oggi vestono così. Hanno solo qualche anno in più, qualche chilo in più e magari qualche capello bianco tenuto nascosto da tinta o cappellino. Oggi in piazza San Babila davanti a quel McDonald che non c'è piùh si ritrovano i ragazzi di allora. Si chiamano Bircide, Matteo, Ramon ma i nomi poco contano. Conta lo spirito che è quello di un tempo e chissenefrega se «fuoritempo». Due raduni l'anno uno tra aprile e maggi e uno a novembre in cui arrivano non solo da Milano ma da ogni dove visto che «non siamo tutti milanesi ma diradati nello stivale del Durango, ovvero la nostra Italia...». Il tam tam è su facebook o su altri social, perchè va bene essere di un'altra epoca ma la tecnologia è un'oppotunità per tutti anche per chi ha voglia di ritornare o di «resitere». Magari con un pizzico di malinconia per il tempo che non c'è più. Tornano i paninari e si danno da fare anche con due film («Il ritorno dei paninari») su un canale di YouTube e con un programma («il paninaro) in 48 puntate sempre sullo stesso canale. Un ritorno finito anche in Rai a «StraCult» quando Nino Frassica , il bravo presentatore di Arbore, li ha adirittura remiati con una targa. Oggi i paninari si ritrovano dove una volta c'era il McDonald's di piazza San Babila. Certo, è un'altra storia. Il ristorante che si affacciava su piazza San Babila è stato il primo fast food italiano ma è stato anche tante altre cose. Uno dei luoghi simbolo di alcuni cambiamenti sociali e politici nel nostro Paese. E i paninari, allora un po' snobbati e compatiti, hanno tirato la volata a tante cose. Dal cibo «made in Usa» nella patria della pizza e degli spaghetti agli hamburger mordi e fuggi con ketchup e maionese. Dalle patatine fritte alle bibite alla spina servite su un vassoio per il primo locale fai-da-te, dove non si veniva serviti e dove non c'erano camerieri. Fu una piccola rivoluzione, non solo culinaria. Una rivoluzione partita sulle note di «Wild Boys» dei Duran Duran, il gruppo inglese che fece strappare i capelli per qualche stagione alle ragazzine di mezza Europa e che diventò la colonna sonora di un movimento giovanile. Gesti e parole «troppo giuste» con le «sfitinzie da acchiappare», i «baci da sparare» che i nuovi «cuccadores» impararono a memoria scimmiottando il perfetto tormentone inventato con un colpo di genio da Enzo Braschi sul palco del «Drive in», trasmissione cult di Italia Uno, rampa di lancio dei migliori cominci degli Anni '80 da Giorgio Faletti a Ezio Greggio a Gianfranco D'Angelo. Un'operazione di marketing perfetto che diventò un film, una moda, ma anche per molti ragazzi un modo di essere forse bollato troppo in fretta col timbro del «disimpegno».

Perfetta perchè approfittò del vuoto lasciato dopo il crollo delle ideologie alla fine degli Anni 70 che avevano frantumato il mondo giovanile. Non c'era più l'eskimo a sinistra ma neppure il doppiopetto a destra, restava solo il vuoto. Da riempire con un panino.

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