«La giustizia ha fatto il suo corso, anche se nessuna condanna ridarà mai il povero Nicolò alla sua famiglia e a noi. Si riconosce che fu un omicidio volontario e non un incidente. Questa sentenza è un segnale importante per tutti gli uomini della polizia locale che ogni giorno lavorano sulle strade di Milano». Mancano pochi minuti alle 16 quando Tullio Mastrangelo, comandante dei vigili, esce dal tribunale dei minori di via Leopardi. Poco più un là, una piccola folla di nomadi, alcuni in lacrime: sono i familiari di Remi Nikolic, il rom che il 12 gennaio 2012 ammazzò travolgendolo con un Suv rubato Nicola Savarino, ghisa di quartiere, che era intervenuto in sella alla sua bicicletta. Omicidio volontario, quindici anni di carcere. Questa è la sentenza che il tribunale ha pronunciato. Quindici anni possono sembrare pochi per una vita umana. Ma sono molti se si ricorda che il processo (dopo lunghi accertamenti sulla reale età dell'imputato) si è celebrato davanti alla giustizia minorile: che infligge di solito pene assai più blande, e punta tutto su recupero e reinserimento.
Invece Nikolic se ne va poco dopo, sul sedile posteriore di una monovolume, verso un lungo periodo di detenzione. Per il poco che se ne intravede dietro i vetri fumé, è un ragazzo come tanti, snello, i capelli tagliati corti. Eppure per i giudici non ci sono stati dubbi: quando innestò la marcia e travolse il vigile, trascinandolo a lungo sull'asfalto, sapeva bene quanto stava facendo, ed era pronto ad ammazzare pur di scappare. Il tribunale ha fatto propria la linea della Procura della Repubblica, anche se infliggendo una pena quasi dimezzata rispetto ai 26 anni chiesti dal pm. Fu una tragedia che scosse la città: per la gratuità del gesto, per la giovane età del colpevole, per la figura della vittima, un «quartierista», uno di quei ghisa a pedali che sono le figure rassicuranti delle vie cittadine. Nei giorni scorsi, dopo la requisitoria e le arringhe, tra i sindacati dei vigili si era sparso l'allarme, il timore che si arrivasse ad una sentenza troppo indulgente. Così non è stato.
Non è detta l'ultima parola. Il professor Guglielmo Gulotta, difensore di Nikolic, annuncia già il ricorso in appello: «Non fu un omicidio volontario ma un omicidio colposo, e lo avevamo dimostrato. C'eravamo siamo trovati di fronte a una richiesta di condanna che definire sbalorditiva è poco, anche perché andava contro alle normative dell'Onu sulla giustizia minorile, secondo cui l'obiettivo primario è il recupero del minore. Il tribunale ha ridimensionato questa richiesta, anche se ha emesso una sentenza che non condividiamo».
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