Delpini: "Insieme per combattere il virus spirituale della pandemia"

Il vescovo: "Elogio chi dal suo posto fa vivere la città". No ai populismi

Delpini: "Insieme  per combattere il virus spirituale della pandemia"

«Non si parla più della terra promessa. Non si parla più di nessun paradiso, né in cielo né in terra». Le parole dalla cattedra di sant'Ambrogio, nell'annuale discorso alla città, cercano di svegliare «una Babilonia confusa». Il modello che l'arcivescovo Mario Delpini offre a Milano in questo momento di generale smarrimento è il profeta Geremia: mentre si profila la caduta di Gerusalemme, la deportazione del popolo, la dominazione babilonese, Geremia «firma un contratto per acquistare un campo, fa un investimento sul futuro». Un gesto simbolico scelto per dire che mai bisogna smettere di sperare e di costruire sulla speranza.

È il discorso di sant'Ambrogio in tempo di pandemia e l'arcivescovo, che pure è stato positivo al Covid, invita a salvarsi proprio dal clima del virus che sembra volersi mangiare tutto e tutti, dall'«emergenza spirituale» di uomini «assediati dalle emozioni, dalle apprensioni, dalle notizie della pandemia». Basta guardarsi intorno: «Non riescono a pensare ad altro, non possono parlare d'altro. Il resto del mondo e dei temi decisivi per la vita delle persone, delle comunità, del pianeta è emarginato, ha perso interesse».

Invece «tocca a noi, tutti insieme». Delpini tesse l'elogio di «chi rimane al proprio posto» senza protagonismi, e sono medici, infermieri, volontari, persone comuni che continuano a fare ogni giorno ciò che hanno sempre fatto e anche qualcosa di più: «Grazie a loro la città funziona anche in tempo di pandemia». Non è per forza d'inerzia né per abitudine ma per virtuoso eroismo quotidiano: «Voglio esprimere la mia gratitudine e riconoscere la fortezza, la serietà, l'onestà di chi resta al suo posto e fa funzionare il mondo, anche quando tutto è sconvolto e complicato. E anch'io, per quello che posso, rimango al mio posto ».

Delpini invita anzi a investire sul domani, a trovare una visione unitaria dello stare insieme, a ripartire dalla «centralità della famiglia fondata sul matrimonio», perché «senza legami stabili non c'è futuro» e quando la famiglia è malata tutta la società è malata. «Abbiamo imparato che l'ideologia non va bene: ha prodotto le peggiori stragi della storia. L'individualismo non va bene: ha inaridito la voglia di vivere e dare vita e porta l'umanità verso l'estinzione. Il neoliberalismo non va bene: ha creato diseguaglianze insopportabili». Per questo bisogna «recuperare le nostre radici» e «dare volto» a una «visione condivisa».

Può sembrare utopia in un momento in cui prevalgono le divisioni, soprattutto quando il discorso si fa più concretamente politico e Delpini parla delle elezioni amministrative che si avvicinano, prima di tutto a Milano, e della «fraternità universale», del «fenomeno migratorio» che polarizzano visioni antitetiche. L'arcivescovo lo chiama «sognare insieme».

Si vede una presa di distanza dal sovranismo leghista e non solo, pur nella ricerca di una politica di «incontro» ma senza «integrazione forzata». Bisogna però decidere: «Abbiamo la responsabilità di scegliere se essere vittime di una globalizzazione delle paure e degli scarti o protagonisti nell'edificazione di una comunità plurale che pratichi la cultura dell'incontro». E ancora: « L'autoritarismo decisionista, la seduzione di personaggi carismatici, le scelte facili del populismo non rispettano la dignità delle persone e spesso conducono a disastri.

Gli uomini e le donne di buona volontà sono chiamati ai percorsi lunghi della formazione, della riflessione, del dialogo costruttivo, della tessitura di alleanze convincenti». Rieccoci al principio: «Tocca a noi, tutti insieme».

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