LA DIFESA «Mi ha proposto di colpire Barbini, ma io volevo solo spaventarlo»

«Non sono un mostro nè posseduta da istinti violenti o strane perversioni». Comincia così il memoriale ai giudici di Martina Levato, la studentessa della Bocconi condannata giovedì scorso a quattordici anni di carcere per avere devastato con l'acido un suo ex compagno di scuola al Parini, Pietro Barbini. Insieme a Martina, è stato condannato anche Alex Boettcher, il suo compagno, giovane, bello e dannato, avviluppato a lei in una storia di sesso e rivalse di rara crudezza. Nel suo memoriale Martina difende disperatamente Alex, e accusa invece Barbini, la vittima, di avere reso la su avita un inferno, diventando nel corso degli anni uno stalker: e fino a qui potrebbe essere un tentativo maldestro di attenuare in qualche modo le proprie colpe. Ma poi Martina fa un passo in più, e apre all'inchiesta uno scenario inedito. Uno scenario che evoca gruppi di giustizieri, a metà tra il volontariato e i centri sociali, che a Milano agirebbero per colpire e punire direttamente chi molesta le donne. Da questi gruppi proverrebbe Andrea Magnani, il terzo uomo della banda dell'acido, arrestato a molta distanza dai fatti.

Nell'inchiesta, Magnani ha due volti. Per la polizia, è un personaggio quasi patetico, sgraziato nel corpo e frustrato nell'anima, quasi plagiato dall'atletico Boettcher, suo compagno di allenamenti. Ma nel memoriale di Martina, è tutt'altra persona. É lui il vero ideatore degli attacchi all'acido muriatico. Scrive la bocconiana nel suo memoriale: «Andrea mi appariva cupo, riservato e timido. Raccontava pochi e circoscritti fatti. Parlava principalmente della sua compagna ucraina, della sua ossessione per il fisico e della sua partecipazione a “squadre di volontariato” (così le chiamava). A suo dire, queste squadre aiutavano le persone in difficoltà punendo gli aggressori con la violenza. Raccontava di allenarsi in alcune “palestre clandestine” a Milano, insieme ad altri “volontari”». Per questo, quando Martina decise di affrontare Pietro Barbini, chiese l'aiuto di Magnani. «Gli spiego brevemente - scrive Martina con la sua ordinata grafia da brava liceale - che c'è un ragazzo che mi disturba da anni e dal quale non riesco a liberarmi. Andrea mi risponde affermando che con il “volontariato” ha già aiutato altre ragazze e mi propone di usare alcune sostanze caustiche per colpirlo. Io all'epoca non conoscevo a fondo la pericolosità di tali sostanze e soprattutto non avevo intenzione di fare un danno al Barbini. Volevo semplicemente spaventarlo e fargli capire che doveva smetterla».

Esistono davvero, questi gruppi volontari-giustizieri? O anche questo è un alibi che Martina cerca di alzare per impedire che le sue colpe la travolgano? La Procura se lo sta chiedendo. Anche perché c'è un dato di fatto incontrovertibile, e che sembra confermare la versione di Martina, dandole anche una colorazione ideologica piuttosto precisa: Magnani sarà anche un bancario sovrappeso e un po' sfigato, ma è anche un militante dell'ultrasinistra. Lo era sicuramente nel marzo 2009, quando insieme a centinaia di altri esponenti dei centri sociali a Bergamo cercò di dare l'assalto alla nuova sede di Forza Nuova. Ne nacquero lunghi e violenti scontri con la Celere, al termine dei quali vennero bloccati, identificati e denunciati una cinquantina di autonomi: tra questi c'era lui, Magnani, che in quella occasione nominò come proprio difensore Mirko Mazzali, oggi consigliere comunale e capogruppo di Sel a Palazzo Marino, e da sempre avvocato di fiducia dell'universo antagonista. Anche nel gennaio scorso, quando venne arrestato come complice di Alex e Martina, il bancario in un primo momenti indicò come proprio difensore Mazzali. E non è tutto: tra le ipotesi che il pubblico ministero Marcello Musso sta verificnndo in queste settimane, in vista dei nuovi processi che attendono il terzetto, c'è anche quella che il luogo dell'agguato a Barbini, in via Carcano, sul Naviglio Pavese, sia stato scelto perché vicino a un centro sociale frequentato da Magnani, e che poteva costituire un riparo dopo l'aggressione.

É uno scenario che se uscisse confermato dalle indagini costringerebbe a rivedere le dinamiche - complesse e tortuose - del terzetto dell'acido: che finora vedevano Magnani come un comprimario o poco più, pronto a dare una mano, ma non coinvolto nelle decisioni. Se è vero quanto Martina dice di Magnani, se l'esistenza dei «giustizieri» trovasse riscontri, l'intera storia degli agguati all'acido andrebbe riscritta.

Poi, nel memoriale della giovane donna, c'è l'altra parte: quella che prende di mira Pietro Barbini, rovinato per sempre la sera del 28 dicembre, e che Martina cerca di trasformare da vittima in colpevole. Martina ha chiesto scusa, è vero, si è detta pentita. Però aggiunge: «Questa mia reazione non è stata il frutto della pura violenza ma è nata da un mio vissuto personale che vorrei far emergere. Io e Pietro Barbini abbiamo frequentato lo stesso liceo a Milano, eravamo quindi compagni di classe e non ex fidanzati. Durante gli anni del liceo ho avuto un rapporto tumultuoso con Pietro che continuava a cercare con me un contato fisico di tipo sessuale attraverso proposte esplicite e palpeggiamenti. Il tutto avveniva quotidianamente (...) dopo la fine del liceo Pietro ha continuato ad avere un atteggiamento ossessivo nei miei confronti. Col passare del tempo è maturata nella mia mente la l'idea che io fossi diventata per Pietro un chiodo fisso, una a preda che lui voleva a tutti i costi catturare. Pensavo che non sarei mai più riuscita a liberarmi di lui (...) ho maturato sempre di più nella ma mente l'idea che Pietro fosse per me una presenza pericolosa. Ha creato in me uno squilibrio ingestibile che mi ha fato percepire la situazione in modo più allarmante di quello che realmente fosse. Ho vissuto l'atteggiamento di Pietro come una minaccia nei confronti della futura famiglia che volevo costruire con Alex. Questa minaccia si è trasformata nell'intento di risolvere in qualche modo una esperienza negativa».

A quel punto, dice Martina, nasce l'idea di rivolgersi a Magnani. E vanno insieme all'appuntamento: «Andrea è taciturno, mentre io vivo un totale stato d'ansia, poichè non so a cosa vado incontro». Arriva Barbini, ed ecco l'acido.

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