Divelta la telecamera interna, l'orefice conosceva l'omicida?


Enrico Silvestri

A distanza di 24 ore dall'omicidio di Giovanni Veronesi, i carabinieri stanno cercando di ordinare gli indizi prima di cominciare un'inchiesta che potrebbe essere ne breve ne facile. Visto che mancano dettagli essenziali, a partire dall'ora esatta del delitto. Inoltre una serie di particolari lasciano sospettare che la rapina non sia il movente esclusivo dell'aggressione. La vittima infatti non apriva a nessuno e se lo ha fatto è solo perché conosceva bene il «cliente». Inoltre come arma del delitto è stata usato un corpo contundente, tipica del delitto occasionale. Infine l'assassino prima di fuggire ha manomesso l'impianto di video registrazione, quasi temesse di essere riconosciuto. Solo supposizioni, ma che lasciano aperta anche l'ipotesi di una lite sfociata in omicidio e la razzia dei preziosi un tentativo di depistaggio.
L'unica cosa certa al momento è che Giovanni Veronesi, 74 anni, è stato ucciso tra le 10.30 - quando gli amici di via dell'Orso l'hanno visto aprire il negozio - e le 13.11, quando Antonella, la figlia, e Susanna Tripi, la compagna, sono andate a cercarlo perché non rispondeva al telefono. L'uomo giaceva a terra in mezzo al sangue, colpito da un pesante oggetto al capo, che gli aveva procurato ferite devastanti. Infranto il vetro che chiude dall'interno la vetrata esterna da cui sono stati arraffati alcuni oggetti.
Arrivano i soccorsi inviati dal 118, il medico cerca di rianimare l'uomo ma dopo un poco deve arrendersi, dichiararne il decesso e lasciare il campo ai carabinieri. Lo scenario è tipico della rapina: qualcuno si è introdotto nel negozio, l'orefice ha reagito, ne è nata una colluttazione conclusa con la violenta aggressione. Veronesi risulta colpito più volte, ha ferite da difesa alle mani e alle braccia, altre al capo, di cui almeno una mortale. L'assassino nella concitazione avrebbe poi preso le prime cose a portata di mano per poi fuggire in tutta fretta.
Ci sono tuttavia alcuni dettagli che non convincono, primo tra tutti ci si chiede come abbia fatto il bandito ad aggirare la proverbiale diffidenza della vittima. «Gianni non aveva più bisogno di lavorare e il negozio era ormai una sorta di hobby, lo teneva aperto poche ore al giorno e durante le vacanze era capace di lasciarlo chiuso anche per un paio di mesi» spiega Gianni Barbato che, con il fratello Massimo, gestisce «Gioielli dell'Orso» a pochi passi dal negozio del morto. In pratica Veronesi gestiva ormai una ristretta cerchia di clienti, per comprare e vendere oggetti antichi ed effettuare riparazioni, e quasi sempre su appuntamento. «Se suonava un estraneo era capacissimo di mandarlo via dicendo che il negozio era chiuso».
Invece giovedì mattina l'orefice apre, senza sospettare. Come se conoscesse bene la persona che ha suonato. Subito dopo, dentro il negozio, potrebbe essere scoppiata una lite culminata con la brutale aggressione. E quando l'assassino si rende conto di averlo ucciso decide d'improvvisare una messa in scena, razziando una manciata di oggetti preziosi. Poi nel dubbio se l'impianto di registrazioni funzioni o meno, lo strappa e se lo porta via. Al momento sembra non emergano ombre sulla vita della vittima, debiti, crediti non esigibili, odi antichi. Ma l'omicidio, sempre che non si tratti di rapina, potrebbe essere nato da un litigio occasionale. L'assassino avrebbe usato il primo oggetto a disposizione: sembra manchi una pesante statuetta, portato via insieme al resto del «bottino».
I carabinieri stanno ora mettendo in fila i particolari sicuri, pochi a onore del vero.

Manca l'ora del delitto e quindi eventuali testimoni, e questo comporta sequestrare le registrazioni di decine di telecamere in zona e visionare ore di filmati nella speranza di individuare movimenti o individui sospetti. Nel frattempo la sezione rilievi ha raccolto sangue e impronte, sempre nella speranza di trovare compatibilità con qualche pregiudicato. Sempre se di pregiudicato si tratta.

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