C hissà se stasera, quando il suo gregge si ritroverà in Duomo a commemorarlo a undici anni dalla morte, don Giussani si prenderà la briga di illuminarlo dall'alto sul percorso da seguire, in questa Milano improvvisamente divenuta inafferrabile tanto nei suoi connotati politici che nella sua anima più profonda. Perché se la vera eredità che il fondatore di Comunione e liberazione ha lasciato al popolo che lo ha ascoltato, fin dai tempi eroici delle ore di religione al Berchet, è stato: andate nel mondo; beh, nel mondo i ciellini ci sono andati, hanno fatto comunità, hanno fatto politica e (fin troppo, secondo alcuni) hanno fatto affari. Ma erano un mondo e una Milano diversi, dove i valori fondanti degli schieramenti erano nettamente ripartiti e rintracciabili. Ma ora? Nella dissoluzione postmoderna che porta tre manager più o meno identici a candidarsi alla guida del Comune, basterà lo sguardo del «don» a illuminare il gregge ciellino e a ridargli quella compattezza che è sempre stata la sua forza, e che ora appare rarefatta?Catalogata a torto a ragione tra i poteri forti della città, accreditata di mitologici pacchetti di voti, Cl non è rimasta indenne dai travagli politici e giudiziari che hanno segnato la fine dell'egemonia moderata sotto la Madonnina e l'ascesa di Giuliano Pisapia a Palazzo Marino. Nei cinque anni dell'esperienza arancione, ha avviato una riflessione al suo interno esplicita e persino aspra. Ma ora che l'auto-rottamazione di Pisapia apre una stagione nuova, questi anni tornano a far contare il loro peso. E fanno sì che il ricordo di Giussani, nella cattedrale dove Ratzinger ne celebrò il funerale, sarà verosimilmente l'ultimo momento in cui, da qui al voto per il sindaco, la sua comunità si ritroverà unita. Tradotto in soldoni: è improbabile, a meno di miracoli, che Cl esprima il suo appoggio, ufficiale o ufficioso, a uno dei contendenti. Un po' perché le spaccature interne sarebbero inevitabili. E poi perché, non a torto, si ritiene che l'epoca delle appartenenze militanti sia finita anche tra i cattolici e persino dentro Cl. E che più dello schierarsi per questo o per quello, serva al contrario costringere gli aspiranti sindaci a schierarsi sui temi cari a Cl: il sociale sussidiario, la sicurezza, la libertà di impresa. Come riassume uno dei vecchi del movimento: «meno Stato, meno Comune».In questo avvio di campagna, Cl ha già fatto tempo a essere indicata come il demonio dall'ala sinistra-sinistra della maggioranza uscente. L'anatema «amico dei ciellini» è piombato sin dall'inizio su Beppe Sala, reo di avere - prima e durante Expo - lavorato accanto a notori esponenti della comunità. Come s' è visto non è bastato a fargli perdere le primarie, ma ne ha certamente appesantito il volo. Mister Expo si è barcamenato come ha potuto, preoccupato più dei voti che Cl poteva fargli perdere che dei suffragi che gli portava: e la sua dichiarazione finale, «non ho alcuna vicinanza con Cl ma non appartengo alla categoria di chi criminalizza ogni suo singolo appartenente», è suonata a parecchi un po' farisaica. Ma le cautele di Sala non hanno impedito che nel frattempo pezzi importanti del mondo ciellino si spendessero in suo favore: da un intellettuale come Luca Doninelli, all'endorsement più pesante, quello del vicepresidente della Compagnia delle opere Massimo Ferlini. Un appoggio così netto da rendere difficile che oggi Ferlini e i suoi possano fare retromarcia, anche di fronte ad una novità inattesa come la discesa in campo per il centrodestra di Stefano Parisi.
Ma è evidente che nel resto del gregge, il nome di Parisi apra spiragli inediti: specie tra chi, come Maurizio Lupi, da Sala si sarebbe sentito garantito solo un po' e che guarda con ulteriore disagio all'imbarcata dei Majorino e delle Balzani sul carro del vincitore delle primarie. «Questi ciellini non avrebbero votato un centrodestra da battaglia - dice uno che li conosce bene - e diffidano di Salvini. Ma se adesso Salvini fa l'agnellino...».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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