Da martedì va in scena al Teatro alla Scala il Don Pasquale (del compositore Gaetano Donizetti) della verità. La verità di un uomo settantenne, Don Pasquale appunto, che si illude di costruire con la giovane Norina quel pezzo di vita che gli è mancata. In realtà, la candidata moglie ha in testa ben altri progetti, è scaltra e opportunista, una vedova allegra che circuisce il vecchio zio per sposarsi il nipote Ernesto.
Il baritono Ambrogio Maestri, nei panni del protagonista, ama questa lettura, costruita passo dopo passo con Riccardo Chailly, alla direzione musicale, e Davide Livermore, alla regia. Amaro il finale del vecchio gabbato? «Direi di no. Ne esce bene alla fine. Non è una visione pessimistica, la sua è una situazione realistica», spiega il baritono. Che aggiunge, «anzi, sono felice di poter dare finalmente voce a un Don Pasquale in carne ed ossa, vero».
Il regista si spinge nei territori psicoanalitici: i rapporti di Don Pasquale con sua madre non furono ottimali, «un trauma affettivo» spiegherebbero la solitudine di Don Pasquale e il suo ultimo tentativo di affrancarsene. Per questo, durante la sinfonia d'apertura viene inscenata una pantomima che raffigura il funerale di mammà. Siamo nella Roma del secondo Dopoguerra, la città è così presente da porsi come il quinto personaggio che s'aggiunge al quartetto composto da Don Pasquale (Maestri), Norina (Rosa Feola), Ernesto (René Barbera) e Malatesta (Mattia Olivieri).
Vedremo la grande urbe delle pellicole di Federico Fellini e Dino Risi, quella della borghesia che tenta il Sorpasso, con tanto di Lancia Aurelia B24 svolazzante in palcoscenico, un Ernesto vitellone che come il Moraldo di Fellini vuole partire: per quale meta? Non si sa, conta partire. Livermore e gli scenografi di Giò Forma offrono un allestimento traboccante di citazioni del cinema italiano anni Cinquanta e Sessanta. L'opera buffa di Donizetti viene così riletta attraverso la lente della commedia di mezzo carattere, in altalena fra comicità e amarezza.
Perché dopo il sonoro schiaffo di Norina a Don Pasquale è difficile pensare quest'opera in termini di buffo. «Lo schiaffo è il momento più tragico, segna la fine di Don Pasquale. Segue il silenzio, e poi un 6/8 tristissimo dove troviamo il mondo austriaco che Donizetti ben conosceva, Schubert anzitutto».
La tragedia che si insinua nella commedia è chiara subito, fin dai sette minuti della sinfonia d'apertura, lì troviamo i presagi del dramma, ombre che poi si rischiarano. Prova ardua per i cantanti, ma anche in buca d'orchestra, «abbiamo lavorato molto sulla trasparenza, bisogna trovare la chiarezza delle bolle di champagne» osserva Chailly. L'orchestra deve sapersi piegare alle esigenze delle voci, commentando quanto accade in scena, vedi certi sforzati dei corni, ma anche alleandosi, per esempio alla spavalderia di Ernesto che vuol partire.
Si contano 18 produzioni scaligere del Don Pasquale, l'ultima è quella del 2012 con i ragazzi dell'Accademia della Scala e
Michele Pertusi nel ruolo del titolo. La penultima risale al 1994. Tanta attesa, dunque, per questo ritorno che avrà la diretta Rai su Radio Tre, e il 19 aprile la diretta televisiva su Rai5 e nelle sale cinematografiche.
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