«Dai miei collaboratori non ho mai ricevuto un no in risposta. E non è poco se si pensa che sono nove uomini, in precedenza comandati solo e sempre da un altro uomo. Non credo avrebbero mai immaginato che a capo dell'Unità Contrasto stupefacenti del comando della polizia locale di Milano potesse arrivare una donna, peraltro giovane e già mamma. Sul lavoro con i maschi può essere davvero molto complicato e all'inizio ci siamo presi le misure a vicenda: loro sono molto quadrati e pretendono parecchio perché sanno di dare tanto; io avevo bisogno di farmi rispettare, ma dovevo anche potermi fidare. Ci siamo conquistati a vicenda, ora il rapporto professionale e personale va a gonfie vele. Posso dirlo? Siamo un esempio felice di come il cosiddetto gruppo misto funzioni. E bene».
Figlia unica di una insegnante di scuola materna e dell'ispettore di un supermercato, nata a Milano, Ilenja Sabato (la «j» l'hanno voluta proprio i genitori che lei definisce «originali») sembra molto più giovane dei suoi 35 anni. Vietato farsi ingannare però dal suo sguardo dolce, con lineamenti da fatina e che cela una tempra di acciaio e la volontà di chi le idee chiare le ha da sempre. Il vicecommissario della polizia locale è diplomata in Informatica, laureata in Giurisprudenza, moglie e madre di Cinzia, 6 anni, una separazione e un divorzio alle spalle, un nuovo compagno e un'altra bimba di 3 mesi e mezzo, Gretha (dove la «h» è invece tutta opera di mammà) Ilenja è tornata al lavoro da pochi giorni, dopo la seconda maternità. E la voglia di combattere gli spacciatori è immutata.
Nessuno in famiglia è mai stato nelle forze dell'ordine, ma lei ha iniziato a fare concorsi subito dopo le scuole superiori. Come mai?
«Voglio chiarire che ho avuto un'adolescenza e una giovinezza molto normali, non ho subito traumi. Mi sono diplomata nel 2001 e sono stata assunta subito come perito informatico, allora ruolo piuttosto ricercato. Mi licenziai quando il mio superiore mi riprese perché aveva scoperto che durante l'orario di pranzo usavo il pc per andare a cercare i bandi di concorso per entrare nelle forze dell'ordine... Sì, sono sempre stata molto attirata dall'idea di poter combattere le ingiustizie e non ho mai cambiato idea su quel che volevo fare. Prima ho tentato di entrare nei carabinieri. Poi ho provato nella polizia locale, ho vinto tre concorsi: a Sesto San Giovanni, ad Arluno e a Casarile».
Agente del pronto intervento, in pattuglia, a Sesto, nel 2002, a 20 anni. Come ha spiegato in famiglia che avrebbe avuto a che fare con un'arma per il resto della vita?
«Nessuno mi ha mai ostacolata. Le armi non mi hanno mai esaltato, le considero uno strumento, da usare in extremis. Mi piace però l'idea di far rispettare le regole, ma di fare qualcosa di concreto, non la passacarte. Odio stare dietro una scrivania, voglio andare in strada, tra la gente. E adoro lavorare a Milano, città dalle grandi opportunità».
Molto operativa insomma. Combattere proprio lo spaccio della droga è stata una scelta sua?
«Me lo ha proposto proprio colui che prima era a capo dell'Unità antidroga di Milano. All'inizio mi ha affiancata e poi mi ha lasciato fare da sola. Quando è andato in pensione, due anni fa, l'ho sostituito. Lo spaccio su strada ha portato la mia squadra anche al sequestro di 300mila euro di shaboo, un chilo. È un'attività molto impegnativa ma interessante».
E i suoi collaboratori? Ha detto che sono tutti uomini. Come si è evoluto il rapporto con loro?
«Sono riuscita a fare squadra stando all'aperto, in servizio tutti insieme, sgobbando esattamente come loro. Il nucleo antidroga sta spessissimo all'aperto, al freddo d'inverno, sotto la canicola in estate e tutto questo richiede una forte dose di passione per quel che si fa. Quando hanno capito che io condividevo questo slancio, che ero disposta a soffrire con loro e non volevo solo comandare, mi hanno seguita sempre. Accettando anche che, dopo aver ascoltato tutti i consigli, fossi pur sempre io a prendere la decisione finale».
Sembra di capire che, come donna, abbia dovuto conquistarsi tutto, centimetro per centimetro...
«Per me dirigere l'Unità antidroga della polizia locale era una sfida in ogni caso ed ero conscia che la partenza sarebbe stata in salita. Amavo il settore narcotici, ma ne sapevo poco o nulla. Quello che ho imparato lo devo ai miei collaboratori che mai mi abbandonano quando chiedo uno sforzo in più, ad esempio lasciare subito tutto quello che stanno facendo per correre in comando. D'altro canto, quando sono rimasta incinta di Greta, ho spiegato che sarei sempre andata con loro, ma che avrei fatto un passo indietro al momento d'intervenire e non certo perché all'improvviso non avessi più voglia di lavorare. Insomma: sono stata sempre me stessa, una donna. E in quel frangente loro sono diventati davvero molto protettivi».
Non ha mai avuto il problema di dover tenere le distanze?
«Devi sempre imparare a tenere le distanze dai colleghi maschi. L'ho capito immediatamente, da agente. In un ambiente prevalentemente maschile è chiaro che qualcuno si senta in dovere di provarci ed è un attimo farsi la nomea sbagliata. L'importante è mettere le cose in chiaro. Il mio attuale compagno l'ho bidonato più volte: ero una donna giovane, ma divorziata e con una figlia, non avevo tempo da perdere e nessuna voglia di farmi delle serate in giro. Così se proprio voleva starmi vicino l'ho invitato ad accompagnarmi a portare Greta a delle visite mediche, senza mai concedergli nulla».
Da come è finita, pare di capire che lui abbia resistito alle prove...
«La fiducia degli uomini va conquistata, ma poi non la perdi più. Lo vedo anche dalla gente che incontro per lavoro».
Cioè? Cosa le dicono i milanesi?
«Con il cittadino ti devi confrontare, spiegare, bisogna farli parlare e ascoltarli. Altrimenti ti vedranno sempre come il ghisa che vuole solo fare multe e alleggerire le tasche. Una donna ha questa arma vincente e al comando riconoscono che la forza fisica serve, ma il dialogo molto di più. Per questo se un giorno ci fosse un comandante donna, dovrebbe contare molto sia su collaboratori fidatissimi che sulle pubbliche relazioni».
E lei lo farebbe il comandante in piazza Beccaria?
«E perché no?».
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