La «dottora dei poveri» che inventò il femminismo

Il femminismo era cosa da borghesucci. Un modo per adeguarsi alla moda corrente. E rivendicare per le donne quel diritto al voto, sempre dibattuto ma mai concesso. Anna Kuliscioff la vedeva così. E parlava di uguaglianza di genere. Non di noi donne. E di voi uomini. Qualcosa che assomigliava ad all men are created equal della Dichiarazione dell'indipendenza americana. Ma che in realtà poco o nulla c'entrava con quella donna socialista, nata in Crimea e vissuta in Italia. Di origini ebree. Con quel principio di equità fortemente radicato nella coscienza. Sono passati novant'anni dalla morte della Kuliscioff, avvenuta il 29 dicembre del '25, ma quelle parole - uguaglianza di genere - suonano attuali quanto poche altre. Il Museo del Risorgimento le dedica una mostra documentaria che si chiuderà il 10 gennaio. La difesa degli oppressi era ancorata a un animo che aveva portato la Kuliscioff ad essere «il solo vero uomo del socialismo italiano» come ebbe a definirla Antonio Labriola con parole che alla Kuliscioff non piacquero. E sembravano perfino blasfeme in quella battaglia per i diritti civili che stava sostenendo. Il suffragio femminile rincorso non era che un aspetto, singolo e singolare, di un'emancipazione dal sapore controverso, in anni in cui la guerra - quella di Libia prima e il conflitto mondiale poi - era sulla bocca di tutti.Alla bufera bellica, temuta e successivamente arrivata a sconvolgere la politica e la società italiana fino nei suoi più infimi strati, si aggiungono scritti sulla burocrazia universitaria. La santità della famiglia. Il lavoro. La libertà della donna. Qualcosa che non suona strano neppure dopo quasi un secolo. Oggi alla «dottora dei poveri» che si laureò in medicina dopo aver lavorato a Milano al fianco di Camillo Golgi, futuro premio Nobel, studiando le origini batteriche delle febbri puerperali, è intestata una Fondazione.E il capoluogo lombardo dove visse a più riprese dal 1885, dopo essersi allontanata dal suo secondo compagno, per unirsi a Filippo Turati, oggi ne celebra il ricordo e la figura con due iniziative. Nella mostra aperta al Museo del Risorgimento vi si espongono manoscritti. Libri. Foto d'epoca. Lettere. Documenti. Al centro dei riflettori Anna Kuliscioff. Al suo fianco, l'altra figura dominante della scena socialista di quegli anni, Angelica Balabanoff. Anch'essa di origini russe. Legata all'entourage della Kuliscioff e di Turati. Più giovane di età, visse pure la fase del secondo Dopoguerra e la scissione di Palazzo Barberini, al seguito di Giuseppe Saragat, futuro presidente della Repubblica. Di lei ricorre il mezzo secolo dalla morte avvenuta il 25 novembre del '65.Nelle bacheche della mostra sono esposte le sue poesie, in gran parte inedite fianco a fianco con le vignette di Giuseppe Scalarini. Anche la sua opera mostra tratti di attualità sconvolgente come lo schizzo che ritrae un'Europa, alle prese con i conti che non tornano mai (pag.236). O il fosco tratteggio dell'industria, che approfitta della ripresa innescata dalla guerra ma produce solo stampelle, strumenti chirurgici e arti artificiali (pag.123).

Le due figure del socialismo italiano a cavallo di due secoli e di due conflitti mondiali emergeranno anche dagli interventi dei relatori che - dalle 9.30 alle 13.30 - tracceranno i profili di Anna Kuliscioff ad opera di Giuliana Nuvoli e di Angelica Balabanoff a cura di Nicola Del Corno.

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