Con la guerra ha a che fare quotidianamente. Anche se vive a poco più di 120 miglia di distanza da uno degli epicentri dell'orrore. Convive con gli effetti dell'aberrazione umana, gli strascichi della violenza cieca, della torture perverse dei lager libici. Ma anche con folle abitudine di «giocare» con fuochi di artificio e petardi, che invece appartengono ai paesi in pace. Massimo Del Bene, primario del Centro di chirurgia plastica ricostruttiva, chirurgia della mano e microchirurgia all'ospedale San Gerardo di Monza, di vite e mani spezzate ne ha operate migliaia, una quindicina appartengono ai migranti scappati dalla Libia.
Il prossimo maxi intervento è quello che sta aspettando M.F., un ragazzo italiano di 27 anni che ha perso entrambe le mani per lo scoppio di un petardo nel 2015. Nel 2016 sono stati eseguiti gli studi di fattibilità per capire se sia possibile effettuare un trapianto bilaterale degli arti superiori, ora che sono terminati gli studi diagnostici si è dato il via libera all'intervento. Il giovane uomo è quindi in attesa di un donatore della stessa età e della sua stessa corporatura per potersi sottoporre al trapianto e vedere così svoltare la propria vita. Come accadde a Carla Mari nel 2010.
A fine aprile Del Bene ha operato Gabriele Micalizzi, il fotoreporter colpito in Siria mentre stava documentando l'ultima offensiva delle truppe curde contro l'Isis. Per lui un intervento di ricostruzione delle dita della mano sinistra e del braccio, per l'asportazione di alcune schegge di granata.
Sono una quindicina gli interventi effettuati dal 2017 oggi su migranti scappati dai lager libici. A parlare di quello che hanno subito spesso sono proprio le loro mani. Mani frantumate a martellate, amputate, tagliuzzate, bruciate con le scosse elettriche, con la benzina e il fuoco o con l'acido. Ogni mano racconta una storia di orrore e di perversione. Ogni mano per lui è una sfida e in alcuni casi una manciata di speranza per chi viene operato. La chiama «chirurgia della tortura» Del Bene che spiega come «traumi ripetuti provochino l'invalidità della mano». Il problema è che, per esempio nel caso delle ustioni o delle recisioni del nervo se si operano entro 6-8 mesi si può garantire il recupero delle funzionalità, ma qui arrivano magari dopo 3 anni. Ogni volta si deve «inventare» qualcosa di diverso, perché non siamo abituati a casi del genere. Sono interventi «inediti». Si tratta di prigionieri di lager, scappati dopo anni di torture Al San Gerardo di Monza arrivano grazie alla Caritas di Como e di Lecco che pagano le spese vive per le ricostruzioni degli arti, tra i 1000 e i 2mila euro.
«Eseguiamo circa 3mila interventi l'anno racconta il primario tra cui almeno 5/6 urgenze al giorno, senza contare le numerose consulenze in diversi ospedali della Lombardia. Il nostro staff è composto da 9 persone, reperibili 24 ore su 24, prevalentemente giovani, con un'età media molto bassa di 35 anni, il che fa ben sperare per il futuro della sanità».
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