Da uno spettacolo fluviale (dura circa tre ore), sfaccettato e iperdettagliato qual è «Pantani» - in cartellone all'Elfo Puccini fino a mercoledì 8 maggio - è forse arbitrario estrarre un'immagine significativa, una frase che pretenda di compendiarne il senso. Eppure quando viene rievocato quel fatale 5 giugno 1999 in cui il ciclista romagnolo, dopo essere stato incastrato grazie a un esame antidoping dai risvolti inquietanti, viene esposto alla gogna mediatica e fotografato «in mezzo ai carabinieri come Pinocchio», sembra proprio di essere arrivati al dunque. La storia della «pulce di Cesenatico», presto trasformatasi nell'«uomo proiettile» e nel «Pirata», per come ce la narra il Teatro delle Albe, è allo stesso tempo un poliziesco e una fiaba cattiva, una di quelle favole non edulcorate che si scrivevano prima che, persino nella letteratura dell'infanzia, arrivasse il marketing a imporre il lieto fine. Un racconto come il Pinocchio prima maniera, saturo di presagi e archetipi estratti dalla cultura contadina della Toscana di metà '800. Solo che in questo caso ci troviamo nella Romagna di fine '900, i contadini hanno aperto discoteche e stabilimenti balneari, e un po' tutti sognano «il colpo grosso». Pantani è letteralmente un vincente, ma con quel tanto di eccentrico e di infantile nell'aspetto, nel rapporto poetico con la bicicletta, nel modo creativo di affrontare le corse, che lo rende accattivante e insieme sospetto. Renzo Martinelli, il regista dello spettacolo e fondatore insieme con Ermanna Montanari del Teatro delle Albe, ce ne parla come di un fanciullo sanguigno e testardo, ce lo fa conoscere attraverso una schiera di amici e famigliari ruvidi, stralunati e passionali, ce ne illustra l'ascesa. Poi arriva il momento del tonfo, e il registro narrativo prende il tono dell'inchiesta giudiziaria con sfilze di nomi, atti processuali, affondi negli aspetti torbidi dello sport italiano. Il Pantani di Martinelli non è fortunatamente un caso sociologico, ma un capro espiatorio esemplare, che sembra uscito da un libro di René Girard. In primo piano sembra esserci un'Italia arricchita e livida, smaniosa di scandali e di idoli infranti: in realtà questo scenario di avidità e risentimento serve a far risaltare il meccanismo tragico della vicenda, la figura dell'eroe di cui un coro canta le gesta e di cui si ripercorre la genealogia contadina, i simboli di purezza e sacrificio (la calla bianca e l'abito rosso) indossati dalla madre Tonina, che è quasi una coprotagonista del racconto. Ma "Pantani" è un'opera d'arte e non un trattato di antropologia, e il suo bello sta nel ricordarci anzitutto il risvolto umano dell'archetipo, sta nell'evocare la tenerezza di un uomo mitico suo malgrado.
«Pantani» non è che il primo di una trilogia di spettacoli che l'Elfo Puccini dedica al Teatro delle Albe.
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