Cronaca locale

«Due pugni guantati di nero» La protesta diventa una pièce

A Lodi in scena il gesto degli atleti che stupì il mondo Buffa: «Spettacolo per ricordare la difesa dei diritti»

Antonio Bozzo

L'anno era formidabile e terribile. «Tutto il mondo sta esplodendo, dall'Angola alla Palestina», diceva una canzone di lotta che rimbombava nelle piazze, dove le manifestazioni finivano con cariche di lacrimogeni, per non parlare di efferati scontri tra fazioni di destra e sinistra, terminati più volte con morti e feriti. L'anno era il 1968. I Giochi estivi vennero ospitati da Città del Messico, e dieci giorni prima dell'inaugurazione, il 2 ottobre, una grande manifestazione nella capitale messicana, in piazza delle Tre Culture, venne soffocata nel sangue: cento, forse più, le vittime. È la cornice - infuriava anche la guerra del Vietnam, con l'offensiva del Tet - in cui un episodio sportivo, la vittoria che portò sul podio Tommie Smith per la medaglia d'oro nei 200 metri e John Carlos per il bronzo nella stessa specialità, si trasformò in momento epocale.

I due, statunitensi di colore, ricevuta la medaglia (Smith segnò il record mondiale) si rivolsero verso la bandiera americana e le alzarono contro due pugni chiusi, guantati di nero. Ascoltarono l'inno nazionale a testa bassa e piedi scalzi. Una cosa mai vista, di enorme carica rivoluzionaria.

«La foto della protesta fece subito il giro del mondo - dice il giornalista Federico Buffa - Quell'immagine diventò un simbolo del Novecento, della lotta per i diritti civili dei neri. Sono passati cinquant'anni, mi sembra giusto ricordare quel che accadde e cosa successe dopo».

Buffa, giornalista sportivo di Sky molto amato e seguitissimo sui social, lo fa con uno spettacolo. Che vedremo a pagamento il 10 luglio a Lodi, nell'ambito della Milanesiana ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi (Auditorium Tiziano Zalli, in collaborazione con Bpm, biglietti su www.ticketone.it). «Black Leather, due pugni guantati di nero», questo il titolo, è stato accolto con successo in altre piazze. Segno che quei temi - i diritti da conquistare e difendere, la denuncia del razzismo allora molto più violento e diffuso, anche nel Paese che in seguito avrebbe avuto il nero Obama alla Casa Bianca -, quelle ferite sono aperte, parlano tuttora alla coscienza. Buffa ha già affrontato e collegato con una realtà più ampia vicende in apparenza soltanto sportive. In teatro, nel 2015, con «Le Olimpiadi del 36», filmate dalla regista nazista Leni Riefenstahl, dove il nero americano Jesse Owens vinse l'oro nei 100 metri nella Berlino di Hitler; e con molte trasmissioni tv, sempre allontanandosi dal racconto meramente sportivo per trasformarlo in affresco di denuncia sociale.

A Lodi, Buffa leggerà il suo testo, drammatizzandolo. Che cosa capitò ai due atleti dopo le Olimpiadi? Smith e Carlos facevano parte dell'Olympic Project for Human Rights. Parteciparono alle Olimpiadi come testimonianza: il 4 aprile del 1968 era stato ucciso Martin Luther King; tanti atleti di colore decisero di non gareggiare. «Meno male che andarono a Città del Messico, segnando così una data fondamentale nella storia che cambia attraverso lo sport - ricorda Buffa - Diventarono due eroi del potere nero, erano i tempi delle Black Panthers. La foto scattata da John Dominis è il punto di partenza del mio racconto. La vita dei due campioni non fu facile, dopo. Vennero minacciati, ostracizzati. Sono vivi tutti e due, mentre è però morto il terzo salito sul podio, il bianco e australiano Peter Norman». Trascinati nella polemica, odiati dall'America bianca e conservatrice, innalzati sulle barricate (non solo metaforiche) dai neri in lotta nei ghetti delle grandi città, Smith e Carlos non hanno mai smesso di essere un simbolo.

Buffa ci racconterà nei dettagli particolari che toccano il cuore.

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